Khalil (Zemzemi all’anagrafe, ma Kal per chi lo conosce e frequenta) è un millennial a tutti gli effetti. E come alcuni, alcuni ma non tutti, gli appartenenti alla MeGeneration, è un perfetto trait d’union tra le due anime che hanno caratterizzato così profondamente le generazioni Y e Z. Se della prima, infatti, mantiene la sensibilità culturale dell’approfondimento, della seconda incarna lo sguardo puro e incontaminato, sognante forse, di chi sa che il mondo, questo mondo che puro non è, puro però lo si potrebbe pur inventarlo. E’ la forza, questa sua di offrirsi alla vita, di chi ha vent’anni, vent’anni o poco più, ma del mondo conosce, per antica e dolorosa consuetudine, le curve e le anse, i crepacci e le arsure, i precipizi ed i pendii.
E per offrirsi a noi, noi
stanchi e alle volte disillusi voyeurs, Kal che guarda “V For Vendetta” e legge “Tropico del cancro”, Kal che ascolta i Flo
o i SalaMantra con un occhio, e un orecchio, che mirano a Francesco
Bianconi e ai suoi Baustelle, ha scelto di regalarci la sua estetica
visuale (con performance teatrali che potrebbero anche richiamarsi alla
tradizione colta, anche se purtroppo un po’ persa nei giovani talenti, del
primo Bene) fondendola alla matericità dei suoi versi, versi che, in questo
caso specifico, in questo “Genova ’97 N.1” (lo potete trovare in
rete su Amazon) destreggiandosi tra la fascinazione per Faber (De Andrè) ed il
ricordo iniziale di Henry (Miller) risolvono se stessi nel ricordo,
nell’elegia, di un amore; un amore, forse, che va (“… ti ricordi di me Nessi
/ alle quattro del mattino, il vino, le stelle / e la tua malinconia? / con te
era un po' cosi sempre / a te donava la tristezza / ti risaltava gli zigomi /
ed eri bella, in lacrime la notte / piangevi anche quando si giocava a far
l’amore …”), un amore, forse, che viene (“… Negli occhi / grandi /tuoi /
c’è un secolo / che io voglio vivere. / Negli occhi miei / Si leva / urlando /
l’ultima nuvola. / Sono salvo forse, / ti penso …”).
Stefano Righini
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