L’Italia, tra ego e pandemia


Secondo recenti stime di Unioncamere, a fine 2020 sono state circa 60 / 70 mila le nuove aziende perse, con conseguente perdita di nuova occupazione. 

Senza contare le aziende “congelate”, ovvero quelle imprese che rimangono in stand by per poi procedere inesorabilmente alla chiusura definitiva.

Al contempo il Dipartimento delle Finanze (MEF), segnala come nei primi tre mesi di pandemia, una famiglia italiana su dieci, non riusciva a coprire le perdite subite con le proprie risorse liquide, anche dopo le integrazioni al reddito e un quarto di lavoratori autonomi (sia nei settori attivi che in quelli sospesi), richiedeva risorse superiori a quelle necessarie a compensare i lavoratori dipendenti.

Si stima (fonti UE), che la disoccupazione quest’anno salirà all’11,6%, con un PIL che a livello Italia vede un decremento del 9 % (con un rimbalzo parzialmente positivo nel 2021).

Se da un lato le ricadute economiche sono state più volte sviscerate da molteplici istituti, rimangono ancora solo in parte analizzati temi legati agli aspetti della socialità e della persona.

La prima ondata pandemica, è stata affrontata con la speranza che se potesse uscire in tempi celeri, ora insiste un aspetto di cronicizzazione del trauma. I sintomi dell’angoscia, della tristezza e della depressione vedono aggravamenti in molte persone.

Manca la possibilità di prevedere e progettare, elementi determinanti per infondere speranza ad ogni essere umano. Più esposte risultano donne e giovani. Figure provate da un lato dal connubio smart working/gestione familiare (ancora sbilanciata a sfavore del mondo femminile) e dall’altro dalla lontananza dai coetanei, da una scuola che si è fatta per gli adolescenti virtuale, a volte esposta anche a dibattiti pubblici surreali. Sappiamo tutto dei banchi singoli, non sappiamo nulla, ma proprio nulla sugli investimenti, sui progetti e sul futuro dell’istruzione pubblica.

A questo si somma il vociare indistinto sulla malattia a livello pubblico. Una babele di informazioni, un overload di comunicazione, talvolta gridato e sguaiato, sul quale dovrebbero riflettere sia gli operatori dell’informazione, sia quelli sanitari chiamati sistematicamente a commentare qualunque cosa.

Non abbiamo fatto in tempo ad avere un vaccino che già se ne discuteva della reale efficacia, quando l’unica cosa seria da fare sarebbe incrementare esponenzialmente i fondi alla ricerca, troppe volte cenerentola delle politiche di investimento dei governi italiani.

La crisi derivante dalla pandemia e le conseguenti ricadute economiche hanno sollevato molteplici temi, ai quali l’Europa ha dato risposta tramite il Recovery plan. Probabilmente la più ampia e forte risposta collegiale dell’Unione Europea. Ad una fase straordinaria, risposte straordinarie. Quella stessa Unione Europea osteggiata anche da chi oggi ricopre importanti ruoli di governo.

Senza i fondi europei, lo sappiamo tutti, non avremmo possibilità alcuna, tenuto conto che i “ristori” sino a qui stanziati, seppur importanti, coprono una piccola parte della voragine economica che la crisi sanitaria ha prodotto per lavoratori e imprese.

Occorre quindi non fallire, per dare all’Italia una nuova possibilità di ripresa.

E’ del tutto evidente la distanza che corre tra i temi sommariamente e parzialmente sopra richiamati e la discussione sulla possibile crisi di governo.

Possiamo dircelo, il governo così detto “giallo / rosso” non sconvolge i cuori o sussultare di empatia diffusa, si fa fatica a riporre nelle mani del Premier le sorti dei progressisti italiani, se non con tanta fantasia, tuttavia, si chiede la cortesia ai contendenti di riporre il proprio ego temporaneamente in un cassetto e di occuparsi delle reali priorità del Paese.

Non significa governare o sostenere un governo senza discutere o confrontarsi nel merito delle singole azioni, ma la credibilità e la serietà di una classe dirigente si misura soprattutto nella capacità di anteporre gli interessi generali a quelli di parte, e ancor di più a capire il contesto e i tempi della discussione. E ora è il tempo di occuparsi dell’Italia.

Marco Lombardelli

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