Maurizio DeGiovanni o della bulimia dello scrittore

Confesso, anche se si sarà già capito.

A me DeGiovanni non piace. Come scrittore, ovvio, non conoscendo la persona ed anzi nutrendo, da appunto sconosciuti, un rispetto profondo per la sua verve affabulatoria.

La diffidenza, altrettanto ovvia, proviene invece, come da indizio già suggerito, dalla fin troppa facilità con cui sforna un libro via l’altro: dal 2007, anno della ristampa presso Fandango de “Il senso del dolore” primo capitolo dell’assai fortunata, ed altrettanto sovrastimata, serie dell’ispettore Ricciardi, i romanzi da lui editati nelle innumeri serie (da Mina Settembre ad appunto Ricciardi, da Sara a Lojacono, dai Guardiani alla serie sportiva) sono, ad oggi, 42 e senza contare altre dozzine di racconti, sceneggiature, testi teatrali eccetera eccetera eccetera. Dico, quarantadue, roba da far sembrare Simenon un pigro scribacchino colpito da stitichezza creativa.

Poi, lo ripeto a scanso di equivoci, DeGiovanni sa scrivere, e sa scrivere bene. La sua prosa è gioiosa e intensa, interessante e profonda, acuta e spensierata. Insomma, sta sul pezzo (la sua Napoli camorrista e generosa, sofisticata e tamarra, jazzista e pasticcera rivive, attualizzandoli, gli stilemi e le mille sfaccettature di tanta popolare saggezza e cultura).

Ed allora? Allora il tanto scrivere, il dedicare le centinaia di pagine di un romanzo ad una storia riscrivibile in poche righe, genera un senso fastidioso di continuo deja-vu, di perenne irresolutezza, di inane spreco creativo. Insomma, per usare un’espressione cara al GiuaninBrera fu Carlo, “… mena un po’ troppo il torrone …” (anche se, a ben leggere, il risultato è buono così, forse vale la pena sopportarlo).

Un esempio, tratto dall’ultimo (ultimo? forse…) romanzo “Troppo freddo per Settembre”, potrebbe essere “DeCarolis aveva apprezzato eccome, eccetera. E avrebbe apprezzato ancora di più se il medico fosse giunto al punto senza indulgere nelle problematiche procedurali del sistema giudiziario italiano. Eccetera ” in cui il testo si fa interessante se non altro per l’uso spregiudicato (e finalmente corretto alla faccia di tutti coloro che lo usano a sproposito credendo, ignorantemente appunto, di mostrare qualcosa in più degli scarsi 600 vocaboli che formano il loro linguaggio da analfabeta di ritorno) del termine problematica (dalla Treccani: femm. sostantivato di problematicoL’insieme dei problemi fra loro connessi relativi a un dato argomento: con sign. più specifico, la particolare impostazione e classificazione dei problemi propria di un autore, di un movimento culturale, di un periodo storico) così volgarmente ed ignorantemente utilizzato al posto del più corretto sostantivo problema.

Da far leggere, e rendere obbligatorio, DeGiovanni e la sua padronanza felice di sintassi e scrittura, nelle scuole di ogni ordine e grado come in quelle per i quadri di partito, nei laboratori di scrittura creativa e nei corsi per giornalisti, negli stage per creativi e nelle master-class per operatore culturale, nelle specializzazioni universitarie e nella vita di tutti i giorni.



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