Messalina di Dentice

C’è molto da riflettere, c’è molto da imparare, ripensando alla frase che Fabrizio Dentice (giornalista, scrittore, critico d’arte, una delle voci più autorevoli e più a lungo ascoltate del secolo appena trascorso) soleva  ripetere parlando di se stesso e della vita, lunghissima (era nato nel 1919), da lui vissuta: “Ho avuto una vita bellissima, che non mi sono meritato”.

Dentice è morto il 27 ottobre, ed ecco (la casualità, a volte) che tra i molti libri dell’ennesimo scatolone aperto (ne ho ancora alcuni, forse pochi, forse molti, sinceramente non so) spicca un piccolo Adelphi, l’austera copertina rossa arabescata dall’inconfondibile logo nero, “Messalina” di, appunto, Fabrizio Dentice.

Un piccolo libro, la riflessione introspettiva di un uomo quando sente avvicinarsi il momento di tirare le somme di una vita vissuta intensamente, che vira al divertissement e che, contrariamente a quanto farebbe presupporre il titolo, non narra della bellissima e dissoluta imperatrice moglie di Claudio e concubina di Caligola bensì di una cavalla, la cavalla che accompagna il maturo protagonista in lunghe cavalcate riflessive e malinconiche durante le quali rivive la vita bellissima e forse non meritata, che ha vissuto.

“Non molto tempo fa, in un paese di mare il cui nome non ha importanza, un vecchio gentiluomo si preparava a morire con garbo ed allegria. Faceva correre il cane, montava a cavallo, curava le rose e il gelsomino, andava a messa tutte le domeniche. Fra una cosa e l’altra leggeva anche qualche libro: pochino in verità, perché ne aveva ormai letti tanti, e al prenderne in mano uno già credeva di sapere più o meno come sarebbe andato a finire. Non ammorbava gli amici con lettere cui bisognasse rispondere, non teneva un diario, e neppure scriveva memorie. Ma ricordava. Ricordava tante cose, belle e no, che gli tenevano compagnia. Non avendo rimorsi gravi, si sentiva in pace col mondo e con se stesso, e avrebbe potuto, come solo possono i vecchi, essere felice.”


Stefano Righini



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