Questa riforma è stata portata avanti e promossa partendo da una logica punitiva nei confronti di una categoria – quella politica – che a detta dei sostenitori “merita di essere tagliata”.
La Costituzione usata – ancora una volta – come oggetto di propaganda elettorale; come strumento di promozione del giudizio del “tribunale popolare” contro la “casta”.
Una riforma nata con questa premessa, costruita su queste basi, non può e non potrà mai essere utile al Paese, né servirà a “sfamare” la voglia di vendetta della “società civile” nei confronti di quella “incivile”.
Voterò NO nonostante la posizione favorevole dell’intera compagine governativa e delle forze di centro-sinistra che la sostengono. Forze che in nome della realpolitik – o perché convinte di poter sfruttare a proprio favore il vento populista - negli ultimi 25 anni hanno promosso e/o appoggiato riforme devastanti per la qualità della nostra democrazia, mal celando una subalternità culturale e politica disarmante:
- l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, che ha aperto la strada ad una stagione in cui le lobby e i facoltosi avranno molte più capacità di influenzare i processi decisionali;
- la riforma/abolizione delle province che in nome dell’efficientamento e del taglio alle poltrone ha dato vita ad un periodo – in molti territori non ben precisato – di riorganizzazione delle responsabilità amministrative e di giochi di potere per le nomine a cariche politiche di secondo livello dai risultati enigmatici;
- La riforma del Titolo Quinto che strizzava l’occhio alla voglia di federalismo delle regioni del nord e che ci ha consegnato 20 anni di conflitti di competenze tra regioni e Stato centrale senza tra l’altro placare la voglia di indipendenza delle “regioni virtuose”.
- La riforma del lavoro e l’abolizione dell’articolo 18, riuscendo in quello in cui non era riuscito neanche Berlusconi all’apice del suo potere;
Senza contare lo schianto clamoroso sulla riforma costituzionale “renziana”, anche in quel caso promossa e propagandata all’esterno come la riforma del “taglio”: di poltrone, di costi, di competenze ed istituti inutili.
Votare NO domenica e lunedì prossimi non significa essere contro una riforma del sistema politico e istituzionale del nostro Paese che anzi per molti aspetti è urgente e necessaria.
Significa sottrarsi alla logica del “Noi contro Voi”, del “Popolo contro la casta” che ha generato e continua a generare mostri in un circolo vizioso che sembra quasi impossibile da invertire: oltre a promuovere le carriere politiche di personaggi discutibili, quali mirabolanti risultati hanno portato anni di campagne denigratorie di grillini e “movimenti civici”? Le rottamazioni renziane? Gli “Occupy PD”? I Girotondi? L’anti-politica berlusconiana?
Votare NO significa sottrarsi alla logica per cui se l’attuale classe politica è in gran parte inadeguata alle esigenze e alle sfide del Paese allora significa che la Politica non serva: e non mi soffermo neanche sul fatto che quei politici sono eletti da noi.
Votare NO significa sottrarsi – ancora una volta – alla retorica della “Società Civile” che si contrappone alla Politica: la realtà è più complessa di un film della Walt Disney.
La “società civile” non è composta solo di “brava gente”: la società civile è gli assassini di Willy, è le centinaia di femminicidi commessi ogni anno, è il sistema Palamara, è i carabinieri di Piacenza, Villa Inferno, i professionisti al servizio della criminalità organizzata e così via.
Delinque e resiste a sé stessa ogni giorno.
Votare NO significa essere consapevoli che questo Paese avrà qualche possibilità di salvarsi e di crescere solo quando si avrà la forza di promuovere un progetto collettivo, che non si basa sui poteri di qualche superuomo o pifferaio magico, ma che chiama in causa tutti e le responsabilità di tutti.
Quel giorno, se mai ci sarà, si potrà costruire solo grazie alla Politica.
Alessio Vaccaro
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