L’attuale più rilevante problema del mondo, che ha la forma di un ancora molto sconosciuto virus, mette in evidenza una necessità per molti versi irrimandabile: l’urgenza di progredire. Non siamo più nelle condizioni, generali o regionali, di permetterci di stare fermi e vedere cosa ci porta il destino. Dobbiamo inventarci anche nel nostro piccolo, famiglia, impresa, borgo, città, comunità, cooperativa, società, forme di urgente progresso. Che non è solo sviluppo.
Ci riempiamo la bocca di “esigenza di sviluppo” ma non è più quello che serve davvero, perché lo sviluppo può essere anche indifferente alla società. L’obiettivo vero è il progresso ovvero un percorso generale di miglioramento che inevitabilmente investa le comunità. E non sono per nulla concetti astratti.
Qualche anno fa in un convegno a San Patrignano sull'economia positiva ho intervistato l’economista Jacques Attali. Ricordo che mi diceva, e lo diceva davanti a mille persone nella grande sala mensa della Comunità di Sanpa, che le scelte di progresso e di miglioramento cominciano in famiglia e a scuola, nel gruppo di amici e in piccole comunità.
Tanti anni fa, credo ne siamo passati almeno 34, Confindustria organizzò a Mantova, Palazzo della Ragione, un incontro nazionale di grande livello e su più giorni con interventi di industriali, economisti, sociologi e tanti nomi di spicco a cominciare dall'allora presidente di Confindustria e della Fiat Gianni Agnelli. Il titolo era: “Innovazione, Formazione, Sviluppo”. Era il 1986, presidente del Consiglio era Bettino Craxi, al Tesoro c’era Giovanni Goria, alle Finanze Bruno Visentini e al Bilancio prima Longo poi Romita. Eravamo nel bel mezzo dei mitici per molti versi davvero mitici anni Ottanta e ci si poneva il problema di innovare, di formare e di creare sviluppo.
Se ci pensate un attimo “Innovazione”, “Formazione” “Sviluppo” sono e potrebbero essere le parole chiave di un seminario nazionale o mondiale anche ora, anche dopo 34 anni. Magico o patetico, a seconda dei punti di vista.
C’è un irrefrenabile bisogno di innovazione che comporta una grande capacità di formazione e ri-formazione delle risorse e dei bisogni e quindi di programmare uno sviluppo che sia sostenibile e inclusivo. Parole di moda e sentite molte volte ma mai davvero applicate in maniera concertata organizzata. Vedo dai vari reperti in rete che quel governo Craxi aveva già un ministro dell’Ecologia: prima Alfredo Biondi e poi Valerio Zanone e vien da pensare anche e questo filone della tutela ambientale e delle politiche per il risparmio energetico e la difesa e valorizzazione della natura aveva già allora, 34 anni fa, una buona posizione nella scala dei valori dell’attività politica.
Eppure se ci pensiamo, nonostante i tanti provvedimenti le svariate leggi in materia, siamo ancora qui a porci il problema di rendere compatibile l’attività umana con la tutela dell’ambiente, le coltivazioni con il clima, mettere d’accordo le acque con il fuoco, il caldo con il freddo, l’acqua alta con la siccità.
Abbiamo sentito parlare di progetti per la modernizzazione del Paese e naturalmente tutte le idee positive vanno bene, in realtà ci sarebbe bisogno anche più modestamente di una scaletta delle urgenze di progresso, i 5 o 6 punti che ogni comunità si deve e dovrebbe dare come obiettivo a seconda dei contesti per contribuire alla modernizzazione. Non credo sia possibile pensare alla grande modernizzazione, se non per i titoli dei giornali, se non ci sono anche tante piccole società in progresso. Comunità in miglioramento, gruppi che segnano l’evoluzione, con coerenza o spaccatura, ma evoluzione di soggetti e di comunità.
E i capitoli di questa urgenza di progresso sono già noti: il lavoro e la sua realizzazione in tempi e contesti diversi dalla solita fabbrica e dal consueto ufficio, la mobilità e i trasporti in tempi di crisi e limitazioni, il nuovo modo di abitare e il concetto di casa borgo e città circolare, l’uso delle risorse primarie e la trasformazione, la circolarità dei beni e dei servizi, le tecnologie e le reti per le ormai indispensabili forme di collegamento e comunicazione a distanza e non a distanza, la nuova sanità tra alta specialità e servizi del territorio e di prossimità sociale, l’assistenza e la custodia delle persone fragili per età o per patologie, le storiche e nuove forme della cultura e del patrimonio da valorizzare.
Se pensiamo di fare tutto questo con schemi identici o delibere fotocopia da Bolzano a Palermo, da Imperia a a Brindisi commettiamo l’ennesimo errore di applicazione e di strategia. Ci vogliono progetti condivisi di area e di aree la cui combinazione porta alla costruzione di una sistema che può raggiungere anche il livello nazionale. Assurdo pensare che a Ravenna ci siano le stesse priorità di Alghero, antistorico ritenere che a Bari ci possano essere le stesse esigenze di Trento.
Prendiamone atto e aiutiamo la singola area a costruirsi la propria scaletta dell’urgenza di progredire. Integrabile e collegabile ma non sottomessa a burocratismi e centralismi.
A cominciare dalla riscossa della rete: non è tollerabile che i paesi di campagna non abbiano internet veloce e che per comunicare in banda larga si debba stare solo in città o paesi più fortunati con antenne vicine.
A cominciare dal riconoscimento che vi sono strade più strade di altre, autostrade più autostrade di altre e che magari le tre corsie in molti tratti non sono più sufficienti e bisogna pensare alle 4 corsie, anzi forse in alcuni punti siamo già in ritardo.
A cominciare dal mercato del lavoro che la pandemia ha rivoluzionato e che ha bisogno di linee guida generali ma sicuramente anche di attenzioni territoriali. L’urgenza del progresso come si vede ha nomi e e cognomi precisi. E’ una questione di progresso ma anche di democrazia applicata.
Fabrizio Binacchi
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