L'ennesima avventura


Se non si è letto Louis L’Amour, Emilio Salgari, Edgar Rice Burroughs o Robin Ervin Howard non si conosce l’avventura.





Certo esistono altri scrittori, più importanti, famosi ed affermati che del romanzo di avventura hanno fatto il loro marchio di fabbrica (il Jack London di “Zanna bianca” o il Robert Louis Stevenson de “L’isola del tesoro”, il James Fenimore Cooper de “L’ultimo dei mohicani” o ancora il Mark Twain di “Huckleberry Finn”) ma i loro romanzi, e di conseguenza i protagonisti delle loro avventure, utilizzano i meccanismi dell’avventura per perorare cause e sentimenti ben più alti (il mito romantico e selvaggio della frontiera e del grande Nord archetipo di antitesi tra civiltà e natura nei romanzi di London o il processo di formazione del ragazzo Jim Hawkins in quello di Stevenson, il canto perduto sulla nativity americana ormai al collasso nel romanzo di Cooper o il passaggio dalla cultura coloniale della Nuova Inghilterra a una nuova, autonoma cultura americana definita con estrema forza e chiarezza attraverso la logorrea gergale di Hucleberry che ha influenzato intere generazioni di scrittori nel romanzo di Twain) personaggi come l’Hoopalong Cassidy di Lamoore (vero nome di Louis L’Amour) e Sandokan di Salgari, Tarzan di Burroughs o Conan il Cimmero di Howard sono la quintessenza pura e semplice dell’avventura fine a se stessa. Essi vivono, lottano, affrontano la morte sempre con il sorriso guascone (il guascone D’Artagnan di Alexandre Dumas, ecco un altro bell’esemplare di eroe fine a se stesso) stampato in viso incuranti se le loro azioni possano avere riscontri nella vita, e nella vita del mondo che li circonda privilegiando la sopravvivenza pura e semplice, il ritrovare un amico perduto, il salvare una fanciulla rapita, appianare una disputa, riparare un torto, punire i malvagi muovendosi ed agendo in una dimensione astratta in cui, parafrasando il titolo di un film degli anni ’70 di Claude Lelouch con Lino Ventura, Jacques Brel, Aldo Maccione e Johnny Hallyday, “L’avventura è l’avventura”.





Trovare i Fenimore Cooper, i Salgari, i Burroughs o gli Howard in libreria non è così semplice: la maggior parte dei loro romanzi sono fuori catalogo, più facile trovarli nei remainder o in piccole librerie specializzate (o in qualche biblioteca che non abbia alienato le vecchie edizioni per seguire le mode del momento).









Un modo, semplice, per avvicinarsi alla loro idea di avventura però esiste. Basta affidarsi a quell’affabulatore compulsivo di Joe R.Lansdale.





Famoso, almeno in Italia, per la serie su Hap&Leonard, la rutilante, improbabile, riuscitissima coppia di detective cialtroni (wasp e “povero bianco” Hap, nero e gay Leonard) che opera nel Sud del Texas, le sue opere migliori sono quelle che raccontano l’America dei tempi che furono, indecise tra romanzo di formazione ed elegiaca e nostalgica chanson de geste (“Tramonto e polvere”, “La sottile linea scura”, “In fondo alla palude”, “L’anno dell’uragano”, “Cielo di sabbia”, “Acqua buia”) ambientate tra l’inizio degli anni ’30 e la fine dei ’50, l’età d’oro del sogno americano così spesso però, e mai come nei romanzi di Lansdale, malridotto, corrotto, interrotto.









Accanto a questa produzione chiamiamola di qualità (anche di quantità, certo: Lansdale è un bulimico della scrittura avendo pubblicato, novello Simenon, una cinquantina di romanzi e più di duecento racconti, oltre aver scritto una serie infinita di sceneggiature per fumetti) Lansdale si è dilettato a riscrivere gli stilemi moderni di generi sottovalutati e snobbati come il western (“La foresta” o “Paradise sky”), l’horror (la “Trilogia del DriveIn”), la fantascienza (la “Trilogia Ned La Foca”), lo splatterpunk (“Il lato oscuro dell’anima”). Riservando un posto d’onore, e qui ci ricolleghiamo al tema iniziale, a due piccole chicche avventurose e assolutamente fini a se stesse, piccoli, grandi omaggi, ai topos letterari considerati più retrivi: “La lunga strada della vendetta” in cui il protagonista è uno stanco e sfiduciato Batman e “Assassini nella giungla”, riscrittura del mito dell’uomo scimmia, in cui un Tarzan particolarmente muscolare si trova ad agire in una avventura che pare uscita dal mondo barbarico di Conan il Cimmero. Da non perdere.


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