Prima un tavolo, poi una commissione e tutto rimaneva (quasi) come prima

“Abbiamo l’obiettivo di aprire un tavolo”, sentenziava dal suo scranno più alto il Sindaco, così affronteremo con tutte le istanze sociali, istituzionali e territoriali il problema della tangenziale. Oppure si costituiva una commissione.  Ah, l’alternativa al tavolo da aprire era appunto la “costituzione di una commissione” con l’aggiunta dell’espressioncina “ad hoc” . Cioè proprio per quel tema per quel problema.  Moda da Prima Repubblica, e pare anche ora.

E apriamo questo tavolo. Per risolvere i problemi dell’Italia, e forse del mondo, bisogna aprire un tavolo. Era da un po’ che non si sentiva questa espressione una volta in voga e tipicamente politichese. Noi cronisti della cosiddetta Prima Repubblica, quelli già in azione tra gli anni Settanta e Ottanta, eravamo abituati a queste frasi della politica locale e nazionale.

Se poi c’era da indagare su qualche fenomeno o qualche scandalo beh allora si invocava e si costituiva una bella “commissione d’inchiesta”. Ah solo l’annuncio era quasi risolutivo del problema.  Ma torniamo agli “stati generali” ovvero al tavolo che si apre in queste ore per affrontare, e magari risolvere, gli inveterati problemi del Paese. Lo so che “inveterati”a molti non piace, e qualcuno mi può dire parla come mangi, ma anche io sono un po’ inveterato. I problemi sono sempre quelli da venti trent’anni ovviamente ingigantiti e aggravati dalla crisi economica da pandemia: il lavoro, gli investimenti, le opere pubbliche, la burocrazia, l’ammodernamento del sistema digitale. Mica poco. Elenco da cardiopalma. Più l’evasione fiscale e la riduzione delle tasse. Un po’ come chiedere di fare Ferragosto a Natale.

E appunto ci vuole un tavolo da aprire. Il problema è che con la pandemia non ancora sconfitta il tavolo non può essere solo fisico, e uno solo: ci vogliono tanti tavoli, in video collegamento immagino, Villa Panphili e qualche collegamento altrimenti basterebbe una tavolata in Sala Verde di palazzo Chigi che però sarebbe pericolosa per l’assembramento e non consentirebbe plausibilmente il distanziamento. Quindi per essere corretti e coerenti con la situazione pandemica bisogna parlare di tavoli video collegati e stanze virtuali, altrimenti gli stati generali andrebbero fatti in cortile all’aria aperta e con seggiole a distanza.  

E lì sarà il bello: la Cgil mi sente?, no è la Uil. Ah un attimo. C’è la Confindustria?,  gorgoglìo digitale, e poi dopo 30 secondi sì qui è la Confindustria. Scusate è arrivata la Cisl. Bene. Adesso è sparito il riquadro del ministero del Lavoro. No, c’era ma ora è solo in audio. Ma è normale. 

Non è detto che il tavolo  sia più complicato in video conferenza che in stretta di mano al tavolone, certo una volta era più schietto. Il tavolo si potrà fare anche in presenza ma a distanza di almeno un metro e con la protezione della mascherina. Tra l’altro la mascherina ti permette di fare espressioni con la bocca e il labbro superiore che non si vedono e quindi in fondo puoi reagire a mugugno inferiore più liberamente. Da tenere presente che se al tavolo distanziato ti abbassi la mascherina sul mento non puoi essere libero di fare le reazioni labiali. Così per precisare. Aprire un tavolo è anche facile, più difficile chiuderlo. E chiuderlo bene.

A volte è bene chiudere il tavolo con accordi preventivi magari prima ancora di aprirlo. E quelli erano capolavori da Prima Repubblica. Si apriva il Tavolo sul futuro del Polo industriale e prima ancora di chiudere la seconda relazione dell’esperto di sviluppo e compatibilità ambientale era già pronta la nota di sintesi sulle conclusioni del tavoli. I tempi del tavolo sono tutto.

Ci sono i tavoli dell’alba e i tavoli della notte, ci sono i tavoli della mattina avanzata e i tavoli del primo pomeriggio ma quelli sono i più pericolosi perché c’è il rischio pennichella incombente. Poi ci sono i tavoli della notte fonda da quelli degli accordi dell’ultimo minuto tanto cari ad un certa pratica sindacale anni Settanta e Ottanta in cui se si raggiungeva un accordo lo si doveva fare dopo le due o le tre di notte.

Ma benedetti “tavolari” cioè con rispetto “esperti di tavoli”  perché proprio all’ora in cui si dovrebbe dormire si debbono fare le grandi firme?  Perché i grandi accordi che devono salvare aziende o rinnovare i contratti ricordano i grandi trattativisti arrivavamo nel pieno della notte? Presi tutti immagino da stanchezza solenne. Ricordo un fine anni Ottanta (quelli mitici pure citati dalla canzone di Raf) una trattativa per il rinnovo del contratto del pubblico impiego roba da 4 milioni di lavoratori interessati  a Palazzo Vidoni corso Vittorio Emanuele. Ero al telegiornale e dovevo fare l’apertura delle 20.  Il tavolo andava avanti da giorni e quello ripreso alle 15 doveva essere risolutivo. Firmarono alle 19 e 38. Alle 20 dovevo essere in onda, apertura.  Non c’era la rete wifi ma si correva a portare la cassetta. Fu un miracolo. Da allora il tavolo per le trattative mi ha sempre rappresentato ansia e corsa. Naturalmente auguriamo al tavolo pieno successo e il pieno rispetto del tavolo anche perché per fare un tavolo come dice la nota canzone per bambini ci vuole un fiore, passando dall’albero di legno e dal relativo frutto. Quindi prima di aprire un tavolo bisogna pensarci due o tre volte ed evitare di consumare il tavolo col relativo frutto e fiore.

Fabrizio Binacchi


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