Eroi minimi


Voce professionale: Pronto, cerco l’ingegner Righini





Non sono ingegnere





Voce allusiva: Dottor Righini, allora, buongiorno.





Buongiorno, ma non sono dottore





Voce confusa: Ah, ragioniere?





Nemmeno ragioniere, né tantomeno geometra





Voce allarmata: E come devo chiamarla allora?





Telefonate così, di questo tono, ne ho ricevute millanta negli anni lunghi del lavoro in teatro. Ed è capitato pure che qualcuno più avvezzo alle pratiche di un teatro lirico mi chiamasse Maestro.





Per intenderci, in ambito teatrale (lirico), Maestro è il riconoscimento massimo riservato a chi sia in grado di insegnare, indicare, guidare, proporsi come punto di riferimento; i professori d’orchestra, ad esempio, devono interpretare la partitura voluta e pensata dal maestro concertatore (o direttore d’orchestra che dir si voglia) così come gli artisti del coro (i coristi, come si sono sempre chiamati) sono guidati ed istruiti nel loro percorso di avvicinamento all'interpretazione dell’opera dal maestro del coro. Che dovrebbe essere riservato, sarebbe meglio dire. Perché il malvezzo dell’autoattribuzione del titolo è sempre più presente nel momento in cui chiunque, potendo vantare una qualsivoglia autorità o non essendo in grado di reprimere un ego spropositato, si avoca un titolo che, per puro quieto vivere, nessuno si permette di confutare ed arrivando a svilire, in tal modo, una professione che, comunque, si dovrebbe configurare più come una missione (il filosofo Umberto Galimberti, ad esempio, dice: «l’insegnante deve insegnare. Per farlo serve una capacità empatica e comunicativa, la fascinazione. Se non apri il cuore, non apri nemmeno la testa delle persone. Gli insegnanti dovrebbero essere sottoposti a un test di personalità che valuti queste cose. Se uno non sa affascinare è meglio che cambi lavoro»).





Fortunatamente, i maestri esistono ancora e altrettanto fortunatamente esistono allievi, discepoli, che ne sanno seguire gli insegnamenti.









Parlando di letteratura, e letteratura sportiva, due dei maestri più riconosciuti sono senz'altro i due Gianni, Brera e Mura. E tra gli allievi più dotati bisogna sicuramente annoverare Emanuela Audisio e Cesare Fiumi.





Laureata in Scienza Politiche e autrice di documentari la Audisio, laureato in Lingue a Venezia e già responsabile delle pagine sportive del Gazzettino Fiumi, si occupano entrambi professionalmente di sport scrivendo, rispettivamente, per “Repubblica” e per il “Corriere”. Ed è dei loro libri che ripercorrono le vite di eroi ed eroine dello sport a volte dimenticati e a volte ancora ben presenti nei ricordi dei lettori che vogliamo parlare.









E se “Bambini infiniti” della Audisio propone le vite (si va da Maradona a Michael Jordan, da Alì a Mennea, da Vieri a Senna, da DelPiero a Magic Johnson, da Luganis a Mike Tyson …) di “… celebrità del calcio, della boxe, dell'atletica, del tennis, dell'automobilismo sottolineando il doppio binario su cui sembrano sdoppiarsi tra un talento sportivo straordinario e a volte unico e un infantilismo permanente, quasi infinito che li spinge a condurre un'esistenza sregolata, talvolta dolorosa, e ne fa dei superuomini bambini …”, “Storie esemplari di piccoli eroi” di Fiumi (e qui i protagonisti sono nomi forse dotati di meno glamour ma di altrettanta se non più struggente grandezza come Roland Thoeni e Giovanni Lodetti, Giuseppe Gentile e Gino Pivatelli, Ezio Pascutti e Sergio Ottolina, Gigi Meroni e Franco Nones, Franco Bitossi ed Eraldo Pizzo …) ci riporta indietro negli anni fino al tempo in cui “… l’Italia viveva delle imprese di eroi, non necessariamente campioni, forgiati dalla fatica e dalla disciplina dello sport. Calciatori e ciclisti, pugili e piloti venuti dal nulla ma capaci di occupare l'immaginario degli appassionati e dei frequentatori di bar e piazze, diventando i personaggi di un'epica popolare indissolubilmente intrecciata con la geografia sociale e la storia del Paese …”.









Due opere importanti, rutilanti di nomi mitici ed avventure ed imprese leggendarie, destinate a far pensare ed al contempo divertire, documentate e puntuali ma anche snelle e leggere. Se si trattasse di pittura, insomma, non sarebbero un affresco di Giotto o un quadro di Caravaggio ma una tela puntinata di Seurat o un prodotto da action painting alla Jackson Pollock. Se invece fossero musica, non si tratterebbe di una sinfonia di Beethoven e nemmeno di una saga wagneriana quanto piuttosto di una partitura di Miles Davis o di un assolo di tromba di Chet Baker.


Commenti