La sfida dell’Europa


Quando i giornali e i telegiornali parlano dell’Unione europea lo fanno attraverso una serie di sigle, anglicismi, termini tecnici, che suscitano in noi cittadini e lettori tanta confusione. Anche in questo periodo di emergenza Covid la situazione non è migliorata, anzi! Un susseguirsi ed un rincorrersi di fondi vari, strumenti finanziari, grants, loans, bond, contributi a fondo perduto che avranno indotto molti di noi ad arrendersi e a disinteressarsi al tema.

Proviamo a capirci qualcosa. Intanto abbiamo imparato in questi ultimi due giorni che la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha lanciato un nuovo ambizioso piano europeo di ripresa, “Next Generation EU”. Ripresa che, passando attraverso importanti investimenti green e nel digitale, dovrebbe accompagnare l’UE verso un futuro di prosperità e resilienza alle sfide che si presenteranno. 

Ma di cosa si tratta? Next Generation EU è una strategia che si fonda su tre pilastri: il primo pilastro avrà come obiettivo sostenere gli Stati membri per investimenti e riforme, il secondo quello di rilanciare l'economia dell'UE incentivando gli investimenti privati e infine il terzo punterà sulla capitalizzazione di quanto imparato in questo periodo di crisi. Questi tre pilastri saranno sormontati, se così si può dire, da un timpano trasversale che farà da cornice e che si fonderà su una crescita verde, inclusiva e digitale (mi torna in mente il Trattato di Maastricht e il tempio greco con i suoi famosi 3 pilastri dell’UE degli anni ’90!)

E che fine faranno il MES, il Recovery fund, Sure e tutti quegli altri nomi e acronimi dei mesi e delle settimane scorse? Nell’Unione europea vale un po’ la legge di Lavoisier “In natura nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma”, ovvero molti strumenti rimangono lì ma cambiano nome o natura.

Primo Pilastro:

  • Recovery and Resilience Facility (RRF), 560 miliardi ripartiti tra sovvenzioni e prestiti e legati alla realizzazione di riforme;
  • React-Eu, 55 miliardi in più da qui al 2022 per rinforzare gli attuali programmi della politica di coesione (quelli che molti di noi conoscono come Fondi Strutturali);
  • Fondo per una transizione giusta, con una dotazione di 40 miliardi per aiutare gli Stati membri al raggiungimento della neutralità climatica;
  • Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale, con una dotazione di 15 miliardi per aiutare l’agricoltura a diventare più verde e sostenibile;

Secondo Pilastro:

  • Solvency Support Instrument, 31 miliardi a disposizione delle imprese e delle regioni europee più colpite dalla crisi, con l’obiettivo di mobilitarne altri 300, per aiutarle ad una transizione verso modelli produttivi più puliti, digitali e resilienti;
  • InvestEU, 15.3 miliardi di euro per progetti e investimenti privati in tutta l’UE;
  • Un fondo per gli investimenti strategici incorporato in InvestEU, con una dotazione di altri 15 miliardi, a sostegno dei settori strategici dell’UE;

Terzo Pilastro:

  • Eu4healt, 9.4 miliardi per preparare la sanità europea a possibili nuove crisi;
  • RescEu, 2 miliardi per rafforzare il sistema di protezione civile a livello europeo;
  • Horizon Europe: 94,4 miliardi a sostegno della ricerca in Europa;
  • Azione esterna, con 16.5 miliardi per interventi nei Paesi vicini, soprattutto per progetti di assistenza umanitaria;

Questi strumenti si andranno ad aggiungere ai 1100 miliardi di euro di bilancio europeo per il prossimo periodo di programmazione 2021-2027, all’interno del quale trovano spazio e risorse molti dei programmi europei a gestione diretta (Horizon, Europa Creativa, Erasmus etc) che ben conosciamo ma soprattutto quelli a gestione indiretta (per semplificare, i Fondi strutturali) che vengono implementati a livello nazionale e regionale. Per intenderci, quei famosi Fondi Strutturali per i quali spesso veniamo richiamati da Bruxelles per la nostra incapacità di programmazione e spesa (con il rischio sempre dietro l’angolo di doverli restituire al bilancio europeo).

Questo, in sintesi, il piano presentato dalla Presidente Von der Leyen lo scorso 27 maggio davanti al Parlamento europeo riunito in sessione plenaria. Un progetto ambizioso che ora dovrà passare attraverso l’approvazione del Consiglio europeo di giugno, dove alcuni Stati membri (Paesi Bassi, Austria, Danimarca e Svezia) hanno già annunciato che daranno battaglia. Le prossime settimane saranno molto vivaci e frenetiche, con le vaie cancellerie europee e gli uffici della Commissione europea che lavoreranno per cercare di trovare un compromesso che vada bene a tutti e al contempo consenta all’Unione europea di uscire dall’angolo. Il fatto che gli interventi proposti dalla Commissione europea si inseriscano nel bilancio europeo dovrebbe garantire una maggiore trasparenza e una maggiore sostenibilità del Piano, mettendolo al riparo anche dagli attacchi da parte degli Stati membri o di Corti costituzionali.

Da noi in Italia il dibattito si concentrerà su aspetti, a mio parere, secondari quali se le risorse verranno trasferite sotto forma di contributi o sotto forma di prestiti, sulla presenza o meno di condizionalità, perdendo così di vista l’obiettivo: uscire dalla crisi più forti e dinamici e cogliere l’opportunità di fare quel salto che ci consenta di diventare un Paese con una burocrazia snella. Va da sé, che qualsiasi tipo di aiuto finanziario arrivi dall’UE sarà comunque vincolato alla capacità di programmare e gestire queste risorse nonché di rendicontarle correttamente. Non ci vedo nulla di male, anzi!

Spesso è stato detto che l’Unione europea ha la capacità di uscire più forte dai periodi di crisi. Auspico che questo sia uno di quei momenti. Molte delle scelte che verranno fatte in queste settimane determineranno il successo del progetto di integrazione europea. La crisi attuale ci ha insegnato che da soli non si va da nessuna parte. L’Italia ha bisogno della Germania e di tutti gli altri Paesi europei e viceversa, ma le regole del gioco devono essere cambiate perché gli scenari internazionali e geopolitici stanno cambiando. Un Consiglio europeo ostaggio del veto di un singolo Paese è anacronistico e non aiuta nessuno. Abbiamo un Parlamento europeo eletto da tutti i cittadini europei e una Commissione europea votata dai parlamentai europei, entrambi pienamente legittimati a fare scelte in nome e per conto degli Stati membri nell’interesse non di un singolo Paese e ma dell’Unione nel suo insieme. La congiuntura astrale sembra buona, con Germania e Francia che hanno ritrovato la capacità di guidare e determinare le sorti dell’Europa, indicando la strada anche a quei Paesi che pensano di poter fare a meno dell’UE o che la vedono esclusivamente come un progetto economico dal quale trarre profitto. E forse, il fatto che in Europa ci siano tre donne forti – Merkel, Von der Leyen e Lagarde – in altrettante posizioni di potere mi fa ben sperare per il futuro.

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Gianfranco Coda

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