Un morto in strada ogni tre ore: ecco i numeri che ci inchiodano


Ci sono numeri che inchiodano alle responsabilità. Ci sono numeri che inchiodano il futuro. Di pochi, di tanti, di tutti. Ci sono quei numeri sugli incidenti stradali che fanno paura: 8 al giorno, una vittima ogni tre ore. Media impressionante.





Poi fa più notizia, o fa più titolo,  un incidente di un altro per una serie di ragioni e suggestioni tipo l’età, le modalità, il tempo, il luogo e via elencando. Ma come diceva un collega giornalista, mio grande maestro di cronaca, un morto sulla strada è sempre una sconfitta per la società. Per tutti.





Una vittima ogni tre ore è una cosa da mettersi le mani nei capelli, è un numero che dovrebbe indurci a pensare che tutte le norme e le regole che abbiamo introdotto e che dobbiamo ovviamente rispettare, e che è giusto naturalmente rispettare, non  sono sufficienti o non sono sempre adatte. Gli incidenti mortali e gli incidenti gravi con lesioni permanenti ci dicono che i sistemi di prevenzione e repressione non sono sempre adatti, non sono sempre aggiornati,  non sono sempre utili.





Diceva sempre il mio maestro di cronaca che i comportamenti personali sono difficili da comprendere, imperscrutabili, talora paradossali e irrazionali: è vero che commettiamo errori a girare per strada, in bici, in moto, in auto, a piedi, in camion, in monopattino ed è anche vero che tutti dovremmo metterci un “più” di attenzione (stavo per scrivere “plus” e poi mi sono trattenuto) un “più”  di prudenza per compensare il “meno” di prudenza usata dagli altri.





Quanta distrazione in giro! E quanta distrazione mortale! Quanti guidatori a leggere il cellulare, quanti sorpassi azzardati, quante manovre che nemmeno al circo faremmo?! Una vittima in strada ogni tre ore è un numero che inchioda e accusa tutti: chi non rispetta le regole, chi beve fuori misura, chi non adegua le luci, chi si affida alle droghe, chi non mette barriere sufficienti, chi pensa che tanto è destino. Accusa chi usa e chi gestisce, chi pianifica e chi amministra, chi pensa di innovare e invece torna indietro.





E’ un periodo questo in cui si è portati quasi naturalmente a fare statistiche e allora ci sono altri due o tre numeri che ci inchiodano. Innanzitutto c’è il numero della (non) crescita economica, la variazione di Pil Prodotto interno lordo,  che è vero che non è negativo (e meno male) ma è anche vero che è da anni e decenni di poco positivo, quest’anno più 0,1%, e quello previsto per il 2020 è più 0,4%.





Quei decimali che non ci fanno sentire in recessione sono gli stessi decimali che ci fanno registrare la febbriciattola della crisi strisciante. Una variazione di Pil attorno allo zero vuol dire non crescere. Se pensiamo che la Spagna nel giro di 4 o 5 anni è passata da una situazione di crisi  seria a una variazione di Pil attorno al 2,2 per cento (dieci volte tanto noi) i conti sono presto fatti.





Altro numero che ci inchioda: 187 centimetri di acqua alta sul livello del medio mare a Venezia. Un numero simbolo, uno spartiacque. Diceva l’altro giorno un veneziano: una volta le alte maree alte erano due o tre a stagione, adesso sono due o tre alla settimana. In certe settimane. I numeri del cambiamento climatico sono numeri che inchiodano il  mondo.





Facciamo a gara a cercare in rete e sui libri da quanto tempo quest’anno è stato più caldo rispetto agli ultimi duecento anni e per la fame di scienza va bene, poi perdiamo tempo a trovare le strade per cominciare a invertire davvero la produzione di gas nocivi, lo sperpero di energia, il consumo di suolo, i comportamenti energivori, quei lavori e quei sistemi che mangiano energia.   E così capiamo che ci inchiodano i numeri ma ancor più i comportamenti.  Spesso tanto assurdi quanto difficili da cambiare.


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