Iniziamo dall'inizio: etimologia del termine “Carnevale”


Approcciare
ad una storia del Carnevale equivale ad addentrarsi in una foresta intricata.
Come prima cosa può essere utile ricostruire l’etimologia della parola, già di
per sé molto complessa e che smuove diversi nodi interpretativi.





Non
pochi studiosi che hanno trattato il tema del Carnevale, hanno cercato di dare
il loro percorso etimologico a questa parola. Cerchiamo di proporre le diverse
ipotesi seguendo alcuni fili logici.





Abbiamo
un primo nucleo esplicativo nel termine “Currus Navalis” che in
tardo latino si corrompe in “Car Naval” e quindi “Carnaval”,
ipotesi sostenuta da Friedrich Diez. Secondo il linguista la festa di Carnevale
va assimilata ai festeggiamenti in onore di Iside che si tenevano in età
imperiale il 5 marzo e che culminavano in una processione di maschere in cui
era  trainata una barca sorretta da un
carro (il “currus navalis” appunto).





Il
Carnevale deriverebbe così da una festa in onore della “Nave di Iside”, l’“Isidis
Navigium”. Fonte di questa tesi è Apuleio che nel “Le Metamorfosi
descrive proprio questo corteo presso una Colonia di Corinto.





Sulle
orme di Diez, Jacob Burckhardt approfondisce l’ipotesi cercandone dimostrazione
nell’Italia Rinascimentale che un po' ovunque tra il XIV e il XV secolo vide
sfilate di carrozze che raffiguravano imbarcazioni, sopravvivenze pagane nella
cultura italiana dell’epoca.





Dimostrazione
che Claude Gaignebet trova in dolci cerimoniali a forma di nave dati ai bambini
durante le feste della Candelora, 2 febbraio, e di S. Biagio, 3  febbraio.





Florens
Christian Rang suffraga la tesi del Car Naval rievocando la Gilda dei marinai
renani e fiamminghi: un enorme “Carro Navale” che festeggiava nel Medioevo la
riapertura della navigazione (in primavera quindi). Questi festeggiamenti
devono aver ispirato anche Sebastian Brandt per la commedia “Das Narrenschiff”:
“La nave dei pazzi”.





Umberto
Malafronte nel suo testo dal titolo eloquente, “Car-Naval”, parte
da questa ipotesi etimologica per le sue riflessioni filosofiche sulla
“Stultifera Navis”, immagine emblematica del Carnevale nata nel Medioevo con le
“Compagnie dei Pazzi” (o Abbazie dei Falli).





Rang infine porta la spiegazione più bizzarra al
“Car-Naval”:





«[...] La Barca della falce lunare con le stelle, che
ancor oggi ondeggia sull’Oriente dalla bandiera del Califfo (in quei paesi la
luna nuova non si presenta all’occhio ferma e ritta sulla punta come una falce,
ma mentre scivola distesa orizzontalmente come una barca), la nave che dalle
acque del regno infero, nella rotazione annuale, innalza l’astro-sovrano verso
l’alto firmamento
[...]».





Anche
Julio Caro Baroja, nella sua fondamentale opera El Carnaval, porta
esempio di sfilate di imbarcazioni nei Carnevali spagnoli contemporanei, un
caso che si aggiunge ai tanti che è possibile trovare elencati nel saggio di M.
A. Conney  sulle feste in cui compaiono
barche in processione.





Baroja,
però, pur citando l’ipotesi del “Currus Navalis” non la
condivide, considerandola elemento della teoria classicista dell’origine del
Carnevale. Sicuramente la sfilata del Car Naval è un rito che si trova di
frequente nei Carnevali anche contemporanei, sia come generici carri
allegorici, sia rappresentando specificatamente una barca, ma per motivi
diversi e più profondi.





Altra
infatti è la derivazione etimologica più accreditata, condivisa dallo stesso
Baroja.





Carlo
Tagliavini traccia un percorso che da termini basso-latini come “Carne(m)
Laxare
” o “Carne(m) Levare” giunge all’antico fiorentino “Carnasciale
o all’antico veneziano “ Carlevar” e per assimilazione  “Carnelevare” che per sincope diventa
l’italiano “Carne(le)vale”e quindi “Carnevale”.





L’origine
della parola è, secondo questa interpretazione, cristiana medievale e non più
classica latina e rimanda al periodo di digiuno e astinenza, specie dalla
carne, che si osserva in Quaresima, terminato il Carnevale.





Baroja
stesso accetta l’origine italiana del termine e la collega alle versioni
spagnole dall’equivalente significato: “Carnal” (come “Charnage
in francese) è il periodo dell’anno in cui si mangia carne; “Carnes tolendas”,
con il senso di dovere che porta con sè il gerundio, richiama il periodo che si
approssima a quello in cui “deve esserci digiuno”; “Carnes tollitas” il
periodo in cui la carne è già stata tolta e quindi “Antruejo”, in latino
Carni privium”, in greco “acreoV”:
periodo “Senza carne”.





La
catena logica dei nomi sopra elencati mostra come la smodata festa di Carnevale
rifletta sempre di più sulla sua fine e sul contrasto vicino. Clemente Merlo,
infatti, nel suo studio sui nomi romanzi del Carnevale sottolinea come più che la festa
dell’eccesso, del godimento e della carne, sia la commemorazione del momento in
cui la gioia non ci sarà più. Carnevale che guarda oltre e quindi triste,
perché destinato a morire.





Rang,
infine, propone l’interpretazione del termine più isolata nel dibattito
etimologico e dunque più originale, ma degna di nota per le implicazioni che
comporta: “Carnevale” da “Carni Levamen” ossia “sollievo della
carne”; carne qui intesa come uomo liberato, sollevato dalle costrizioni e
privazioni di tutto l’anno.





Non
sembri superfluo il dibattito sull’etimologia del termine, perché porta con sé
il nocciolo della diatriba sull’origine del Carnevale, o meglio, dello spirito
del Carnevale, se classica pagana (Car-Naval) o cristiana medievale (Carne-Levare).





Il nome diventa quindi la punta di un iceberg nell'interpretazione del significato di questa festa.


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