Amarilli Café


Chi sa bere, e ama bere bene,
non beve certo Prosecco o Spritz.





Non almeno quelle pallide imitazioni che vengono propinate a torme di turisti inavvertiti nelle miriadi di falsi pub, false enoteche, false vinerie, falsi cocktail bar che hanno invaso questa città peraltro bellissima e dalle nobili tradizioni.









Prima che qualche anima
bella, purista dal facile indignarsi possa replicare, chiarisco il concetto
riprendendo le parole di Loris Dell’Acqua, enologo e gran maestro della confraternita di Valdobbiadene: “… un nome generico come Prosecco è
superato, non esprime più un territorio, non racconta più le differenze
storiche della qualità. Impossibile spiegare al cliente perché beve lo stesso
vino per 2 euro oppure per 20 alla bottiglia …”
.





Per tentare di spiegare,
bisogna riportare dei numeri. Il pianeta Prosecco, che nasce nella culla
storica Conegliano-Valdobbiadene, vale 2,5 miliardi l’anno. Fa vivere 16mila
viticoltori tra Veneto e Friuli suddivisi in 500 cantine. Fino a quando la Docg
comprendeva gli 8500 ettari iniziali che producevano 90 milioni di bottiglie la
qualità era garantita (sic nomen). Da quando le 9 province della pianura del
nordest si sono appropriate di quasi 5 bottiglie su 6 (24500 ettari per
464milioni di bottiglie) cavalcando il boom delle bollicine low-cost, le cose
sono cambiate. La qualità è necessariamente scesa e il successo mondiale del
marchio ha ingolosito nazioni ancora impreparate ma pronte ad invadere il
mercato (Ucraina, Romania).





Naturalmente, bottiglie di qualità esistono e r/esistono anche tra quelle prodotte al di fuori dai confini naturali, ma è proprio per difendere la qualità primigenia che la nobiltà Conegliano-Valdobbiadene vorrebbe, con clamoroso gesto separatista, cancellare il nome storico di prosecco dalle proprie etichette.









Per tornare a noi bevitori, tralasciando
la storia e l’attualità, si capisce come, alla fine, il problema vero sia rappresentato
dalla serietà di chi il Prosecco lo vende al bicchiere o lo utilizza per
miscelare (in verità sarebbe spruzzare, da cui il nome di spritz) l’aperitivo più di moda al mondo (e se poi viene preparato
con l’Aperol…).





Capirete quindi come sia rimasto dapprima incredulo e poi felice quando ho scoperto, su suggerimento di amici, d’altronde non c’è miglior viatico del caro e vecchio e quasi sempre affidabile passa-parola, questo “Amarilli Café” in San Vitale 54. Dove prima c’era (e la struttura è sempre quella) un vecchio, polveroso, inutile ed insignificante bar, adesso c’è una sorta di paradiso dello spritz (e del tramezzino: senza paura di essere smentito, i tramezzini più buoni, succulenti, golosi, impedibili della città) gestito dalla giovane, carina, gentile patronessa Valeria che non avrà problemi a preparare il miglior spritz che avrete mai bevuto (e lo dice uno che lo spritz in genere brrrr). Perché può sembrar facile mescolare ghiaccio, prosecco (anche se la ricetta storica chiamerebbe vino fermo), Select (se non lo avete mai assaggiato, è lui, il Select, che andrebbe utilizzato) e acqua gasata (da cui lo spritz spritz con cui le truppe austro-ungariche di stanza nel Regno Lombardo-Veneto chiedevano agli osti di allora di allungare il vino locale per il loro gusto troppo forte e pesante). Ma è invece tutto un gioco di proporzioni, temperature, qualità dei prodotti e amore. Amore, sì, o quanto meno piacere di fare, perché, e non è una mera sviolinata, preparare un aperitivo, come quasi tutte le cose della vita, viene meglio se a farlo è una persona contenta di quello che sta facendo e che quello che sta facendo lo fa con piacere e non interpretandolo solo come un lavoro.









Certo, “Amarilli cafè” (aperto
dal lunedì al venerdì, da mattina alle 21 ma poi dipende da chi c’è) ha altre
frecce al proprio arco. Il locale è gentilmente informale, elegantemente
spoglio, semplicemente raffinato. Il banco è enorme ed offre una capiente
disponibilità agli habituè del gomito
poggiato, la vetrinetta refrigerata piena di, appunto, tramezzini squisiti ed
altre leccornie, i tavolini pochi e ben distanziati e l’atmosfera è serena,
quasi ci si trovasse nel salottino di una casa amica.





E Valeria poi vi accoglierà con un sorriso ed uno dei suoi spritz classici o al Cynar, al Sambuco (è bianco e lo conoscete senz’altro come Hugo), allo Zucca …





Stefano Righini






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