Via dei Griffoni, 12


di Idriss
AMID





Si pubblica uno dei racconti dall’antologia Casamondo, S. Giovanni in Persiceto, Eks&Tra, 2011, pp. 15-17 (liberamente accessibile al sito: www.eksetra.net), che raccoglie i testi sviluppati nel Laboratorio di scrittura interculturale di quell’anno, attivato dal Dipartimento di Italianistica bolognese in collaborazione con la suddetta Associazione interculturale. Pur affidato in quella fase alla voce di uno dei singoli partecipanti, il testo si fa messaggio corale nel cogliere l’intrico di abitudini internazionali che la nostra realtà universitaria da sempre respira, come indispensabile orizzonte per gli scambi intellettuali, e che tuttavia sconta i piccoli ma significativi intralci del vivere altrove, che emergono anche negli itinerari privilegiati della migrazione studentesca.









Il denso significato espresso dal titolo del volume, che non casualmente richiama il tema primario che attraversa tutte le letterature derivate dalla esperienza migratoria, deriva proprio dal racconto di Idriss Amid, che addensa nella misura breve delle sue pagine tensioni e complessità trasversali all’intera esperienza della migrant literature, adunando i motivi dell’addio, della casa, dell’abbandono, della valigia, della nostalgia, però in una paradossale esperienza interna all’Italia, e che potrebbe nutrire la riflessione sulle strategie della cosiddetta accoglienza, scansate nel discorso pubblico, e invece pratica spontanea in piccole comunità. Il giovane marocchino protagonista condivide l’esperienza di un gruppo di altri migranti, saldato però dalla forza internazionale della cultura,  superstite attrattiva che anima la più antica università del mondo. Per un millennio essa ha fatto dell’accoglienza, della capacità di amalgamare lingue, mentalità, costumi e religioni, la sua forza principale, costruendo identità rinnovate e arricchite, riscattando le differenze sul piano e con gli strumenti del sapere; ma ora tutto pare spegnersi nell’egoismo dell’impersonalità burocratica, sfiorando un razzismo istituzionale che abbandona a sé stesse le più ricche avventure. Come quella della piccola comunità di Via de’Griffoni 12, dove è possibile «passare da un continente all’altro… restando immobile», semplicemente respirando odori, gustando sapori, ascoltando linguaggi all’apparenza estranei e babelici, eppure capaci proprio di attivare un confronto, una convergenza spontanea e aperta, priva di pregiudizio, che si fa socialità del vissuto, attraverso il dialogo, come vuole ripetere la stessa esperienza del Laboratorio, cercando di «costruire in Italia un mondo che non [abbia] una sola bandiera».





Ci dice ancora l’autore quanta fatica sia trovare italiani «che accettino uno straniero», ma questa è «un’altra storia» che altri allievi e altri volumi raccontano nelle successive edizioni del progetto laboratoriale, e che le cronache ci porgono in sequenza ossessiva senza la speranza di riscatto e la forza del sogno attuato che alla letteratura compete.





                                                                                         Fulvio Pezzarossa









Ora i miei occhi sono aperti. Sono aperti per davvero. Non ricordo niente. Non ho visto. Non ho sentito. Non ho parlato. Come è successo? Non lo so. Perché? Non ne ho idea. Quel ch’è certo è che non è accaduto.





Oggi la chiudono. Ci avevano avvisato un mese fa. La decisione
annunciata dal Centro di Tutorato Internazionale dell’Unibo era insindacabile.
Tutti dobbiamo sgomberare nel giro di poche ore. Adesso occorre preparare le
valigie, per chi non l’aveva fatto nei giorni precedenti, e avviarsi a salutare
la casa, la nostra casa. C’è qualcuno di noi, però, in grado di dare il
fatidico addio? Questa domanda si affacciava come un rimorso che non poteva
essere rimosso.





La Foresteria
di Via de’ Griffoni 12 non è una qualsiasi residenza universitaria. Situata,
forse suo malgrado, subito dietro Piazza Maggiore, in mezzo al caos del centro città,
porta alle spalle una storia antichissima. Dicono che la sua costruzione risale
al Medioevo, e molte famiglie, bolognesi e non, l’avevano posseduta prima che
diventasse uno studentato in base agli accordi con le università di paesi
esteri. I primi ad approdarci erano stati studenti tedeschi che, una volta
finiti gli studi, avevano lasciato le cinque camere della casa, una singola e
quattro doppie, ad un gruppo di studenti di medicina eritrei. Conclusi i sei
anni di loro permanenza, si era deciso di assegnare i posti letto a studenti di
varie provenienze. Io a quel punto avevo lasciato il Marocco per venire a studiare
in Italia con una borsa di studio, e per fortuna mi è stata offerta la
possibilità di vivere nella Foresteria. Carlos dal Brasile, Salman dalla
Palestina, dottor Raduan dalla Libia, Bogdan dall’Ucraina, Emilio da Trieste,
Anita dalla Spagna e Samantha dalla Nuova Zelanda dovevano essere i miei
coinquilini nella residenza, o meglio in quella che era ormai la Casamondo.





Per un intero anno passato dal nostro arrivo a Bologna, la Foresteria
degli studenti griffoniani, come tendevamo a chiamarla, volava come le rondini,
da una terra all’altra. La migrazione delle rondini verso paesi e continenti
nuovi impiega non poco tempo. La Foresteria, invece, poteva passare da un
continente all’altro, nell’arco di meno di un dì pur restando immobile. Noi
facevamo da ponte o paese mobile per lei. Capitava spesso che il suo salotto si
trasformasse in un party alla Rio di Janeiro, con tanto di birra e di barbecue.
Nello stretto e lungo corridoio al piano superiore c’era chi aveva tendenza di
ripassare gli appunti in italiano per gli esami di Lettere e in seguito
rispondere in arabo alla tanto agognata chiamata della mamma dal Medio Oriente.
E se il suo terrazzo poteva di volta in volta ospitare un acuto dibattito
politico o un derby magrebino di calcio in due, le pareti della sua spaziosa
cucina assaporavano quotidianamente il profumo di piatti multietnici, a volte
famigliari per il gusto italiano, quali la pasta fatta in tutti i modi o la paella, a volte tipicamente originali
nella loro diversità, quali il tagīn (un
particolare ragù di montone o di bue, servito con contorno di patate e pomodori
cosparsi da una salsa aromatizzata con spezie) o il boršč (un minestrone a base di brodo, verdure, carne lessa,
cavolo, cipolla e barbabietola). Insomma, si poteva scorgere la presenza delle
nostre orme in ogni angolo suo. Questo radicarsi delle nostre tracce
internazionali e il loro incontro nella Foresteria ha fatto sì che il nostro
legame affettivo con lei assumesse un valore mitologico.





Tutto questo non è stato preso in considerazione da chi ha avuto
l’illuminante idea di cacciarci via. Non si è nemmeno pensato ad
un’alternativa. La parola d’ordine era “cercate!”.
Poi si aggiungeva: “vedremo di trovarvi
qualche altra sistemazione, ma comunque cercate
voi”. E alla domanda “perché
verrà chiusa?
” la risposta si articolava di tanti sinonimi e contrari,
tanti “sì” e “ma”, come i discorsi dei politici. Sì è parlato vagamente di vari
progetti. Vagamente. In realtà, l’ipotesi più accreditata è da connettersi alla
mancanza di fondi. Tale ipotesi faceva venire i nervi al mio coinquilino
triestino: “Ora, oltre alle biblioteche
chiuse di sabato e al numero sempre più
misero
delle aule per migliaia di studenti, ci poteranno via persino il sonno!





Era proprio
il sonno a preoccuparmi da quando mi avevano informato della futura chiusura
della casa.





Sognare in italiano non è nuovo





il mio suolo materno già lo permetteva.





L’unica esperienza innovativa:





un bacio dal caos dei sensi





regalato dall’incontro con l’Altro





un altro vario e plurale





che fece del mio riposo surreale





una favola bramosa di un rinnovo.





Il periodo
trascorso in Via de’ Griffoni 12 ha dato una scossa marcatamente incisiva alla
mia vita onirica. Nella Foresteria solo tre persone parlavano correntemente e
correttamente l’italiano. Tutti gli altri avevano una conoscenza assai
elementare della lingua della penisola, per cui non c’era un solo idioma di
comunicazione. Si parlava frequentemente l’inglese fra quelli che lo
conoscevano o l’arabo fra gli arabi. Si sentiva pure parlare lo spagnolo e il
portoghese, soprattutto quando Carlos e Anita imprecavano. L’esperienza
multiliguistica e i vari avvenimenti della vita quotidiana in Foresteria mi
hanno portato sogni magnificamente stravaganti: sentire un frigorifero
arrabbiato dirmi “boha bichu”; parlare
con studenti italiani all’università in inglese anziché in italiano (non si sa
come, dal momento che l’inglese lo conosco poco); mangiare una pizza credendo
di avere in bocca una maglūba (piatto
a base di riso e pollo tipico della Palestina); sognare di essere in patria ma
notare che fra i propri famigliari ci sono anche i coinquilini della
Foresteria, e altri innumerevoli sogni.





Come si possono scordare questi sogni? Scordarli sarebbe come
cancellare una parte di me. Non desiderare di averne altri sarebbe
insopportabile. Il proverbio arabo dice, però, “Soffia il vento diversamente da come desiderano le navi”. E già
domani sarò in un altro posto, con nuove persone che sono stato costretto a
cercare. Quanta fatica c’ho messo prima di trovare dei ragazzi che accettino
uno straniero fra loro! Ma questa è un’altra storia.





Lo vedo negli
occhi dei miei coinquilini, ahimè i miei ex coinquilini, il dispiacere per come
sono andate le cose. Pure loro avranno costruito, forse anche inconsciamente,
un legame speciale con la casa. E oggi si vedono forzati a lasciare il posto
che ci ha riuniti da vari parti del mondo e che ci ha permesso di costruire un
mondo in Italia che non aveva una sola bandiera. Forse un giorno ci sarà chi
farà la nostra stessa esperienza, ma per noi chi l’abbiamo già vissuta avrà per
sempre un solo nome: La Foresteria dei griffoniani.









Idriss Amid è nato nel 1986 a Tetuan in Marocco. Nel 2007 si è laureato in Lingua e Letteratura Italiana presso l’Università Mohammed V di Rabat con una tesi sull’intertestualità nell’Opera di Cesare Pavese.





Nel marzo del 2012 ha conseguito la Laurea Magistrale in Lingua e cultura italiana presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Ateneo di Bologna discutendo una tesi sulla letteratura della migrazione in Italia e in Francia. È dal 2016 Dottore di ricerca in Culture Letterarie, Filologiche e Storiche (Università di Bologna e Università Mohammed V–Agdal di Rabat), con una tesi sui fenomeni dell’autotraduzione, che permane suo territorio di ricerca e di interventi in convegni internazionali.





Nel 2011 ha partecipato con un racconto nell’antologia di scritture migranti Latte e miele sotto la tua lingua, edito a Roma da Compagnia delle Lettere e ha vinto il terzo premio nella sezione prosa e poesia del concorso letterario nazionale “Scrivere altrove”, tenutosi a Cuneo. Oltre a numerosi testi narrativi e componimenti rintracciabili in rete, ha pubblicato la raccolta poetica Malinsonnia, Libellula Edizioni, 2017.


Commenti