Ma anche NO.


Se non fosse una cosa estremamente
seria ci sarebbe da sbellicarsi dalle risate davanti la valanga di
dichiarazioni e post di renziani della prima, seconda, terza e quarta ora che
si affannano a prendere le distanze dal loro (ex) leader dopo la scissione. Proprio
loro che negli ultimi anni hanno scalato il Partito dietro lo slogan della “Rottamazione”
ora sono lì intenti a schivare uno spettacolare contrappasso dantesco.





Si va da quelli che reagiscono
in modo scomposto recitando il ruolo delle vittime sedotte e abbandonate sull’altare
a quelli che  - come successo per le
altre recenti scissioni  - semplicemente
rinnegano di aver mai appoggiato o supportato veramente l’ex segretario.





I più navigati restano in
silenzio, prendono tempo, cercano di mantenere i nervi saldi e ostentano calma
in vista dei prossimi appuntamenti elettorali nei quali sperano di strappare
una candidatura per se stessi o per i loro fedelissimi prima di decidere il da
farsi. Non sarebbe la prima volta (anzi sta diventando la prassi) che quel
fantastico Partito che si chiama PD candida gente prontissima a fare le valigie
un attimo dopo essere stata eletta; perché perdere questa fantastica
opportunità?!





Dicevo ci sarebbe davvero
da ridere di gusto (e qualche sorriso spontaneo a volte esce) se non fosse una
cosa tremendamente seria. Tremendamente seria perché la gran parte di quella
pletora di piccoli e grandi capicorrente che oggi si appresta a fare l’ennesima
giravolta politica nel disinteresse generale dell’opinione pubblica mina
inevitabilmente la credibilità dello stesso Partito Democratico.





Che credibilità può avere
uno che fino a ieri inveiva contro dei gufi? Che quando lo si metteva davanti le
discrasie dell’era renziana rispondeva: “ma con Renzi si vince” e lo ripeteva
come un disco rotto anche davanti alla valanga di amministrazioni perse nel
corso delle sue 2 segreterie? E soprattutto che credibilità ha un dirigente che
ha gridato e sostenuto la battaglia della rottamazione a tutti i livelli e che
oggi non ha neanche il coraggio di seguire Renzi nella “nuova avventura” per
paura di non essere candidato o di mettere in crisi la maggioranza nel Comune
che guida? Ma si sa, la rottamazione è una questione che riguarda sempre gli
altri.





E che dire degli infiniti
appelli a ripensarci; a non andare via! Perché il PD è un partito da “restaurare”,
da “riformare”, da “risanare” ma non da abbandonare.





E qui arriviamo al
secondo grande problema, ovvero quello di un Partito che a partire dalla sua
creazione, nell’ormai lontano 2007, è costantemente da rifondare e riformare. Ovviamente
sempre con le stesse parole d’ordine. Un eterno cantiere (saranno contenti gli
Umarell) di cui non si vede la fine. La Salerno-Reggio-Calabria della politica
italiana.





Un processo costituente
che non potrà mai concludersi semplicemente perché è stato fondato attraverso l’artificio
retorico del “ma anche”. Una scorciatoia ideologica, un trucco retorico che
ha permesso di unire - sulla carta e nei comizi – quello che nella realtà non
può stare insieme. E così in questi 12 anni il PD è stato il partito che si è
candidato a rappresentare i finanzieri ma anche i precari, che difendeva
la scuola e le università pubbliche ma anche quelle private, che tutelava
i beni e i servizi pubblici ma anche le privatizzazioni, che difendeva l’ambiente
ma anche una visione di progresso novecentesca fatta di cemento armato e
grandi opere, e così via.





Il tutto condito da regole di selezione della classe dirigente assurde - come le primarie aperte a tutti –  che hanno rafforzato, invece di indebolire il potere dei “capi-bastone locali”.





Un processo costituente
che potrà finire solo quando si faranno delle scelte. Quando si deciderà da che
parte stare sui principali temi che interessano il futuro delle persone e non esclusivamente
sul prossimo leader da seguire per tutelare i propri interessi personali.


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