Rovina. Leggere l'Emilia e finire a guardare il mondo e la nostra Terra.


A volte ci si imbatte, per pura casualità, in libri che diventano ipertesti nella nostra mente, Rovina di Simona Vinci è uno di questi. Un libro da poco ristampato, è stato scritto nel 2007 e, proprio per l’abilità dell’autrice e per l’attualità dei temi trattati, non sente l’età. La protagonista è la terra e più precisamente la nostra pianura padana, vittima principale, anche se non l’unica del racconto. I carnefici ma al contempo anche vittime, siamo un po’ tutti noi, che dobbiamo solo decidere a chi sentirci più vicino. A Sara G. (io a lei no, se non altro per gusti musicali) che sembra uscita da una canzone del primo Capossela, in quell’Emilia provinciale e genuina fatta di balere e sogni metropolitani, oppure a Fabio e Marilena che oggi magari abitano nell’appartamento di fianco al nostro in un paese di provincia qualsiasi, con l’immancabile, nonché orribile, adesivo sul retro dell’auto di lui, lei e il cane e i rispettivi nomi sotto improbabili caricature. 





Loro insieme ad altri personaggi, fanno da corollario alla corsa al mito del mattone, risolutore di ogni disgrazia economica di ambiziosi e improvvisati business man in chiave italica e di quella politica accondiscendente alla scalata del sistema mafioso degli appalti, che vede, non solo, ahimè, nella finzione letteraria, il processo di Aemilia la vicenda più nota. 









L’Emilia descritta dalla Vinci, a tratti sembra quella che incontriamo tutti i giorni dietro l’angolo; a volte sembra quella lontana nel tempo, quasi per certi versi quella che assomigliava, per chi veniva da fuori,  ad un sogno americano. 





E’ invece quella appena prima dello scoppio della bolla economica del 2007/2008 e madre della crisi edilizia che ha visto ridursi le imprese e i suoi lavoratori ancora oggi in maniera drastica e per certi versi drammatica. E’ quell’Emilia (ma potrebbe essere una qualsiasi zona del nord Italia di quegli anni) dove: “tanto vedrai che qualcosa te lo fanno tirare su, così ti farai la pensione”. 





Nei primi anni del duemila, nella nostra pianura, un casolare e un po’ di terra di famiglia erano potenzialmente “una nuova residenza in campagna a due passi dalla città”. Ma oggi come allora, in agguato a tutte le speculazioni finanziarie e non, c’è anche quella mafia che continua ad insinuarsi, quella che per noi emiliani una volta era solo a sud e dalla quale in qualche modo ci sentivamo immuni. 





Tutti i protagonisti, sono i principali testimoni di un degrado non solo ambientale, ma prima tutto culturale, senza il quale tutta questa storia non sarebbe esista. Il soldo facile, la furbizia scambiata per intelligenza, l’inconsapevolezza di partecipare ad un gioco più grande di quello che poteva apparire.





In questo testo traspare anche l’Emilia consegnataci dai nostri nonni, genuina e umile, come il padre di Sara: “...ohi, Sara, io non ci capisco più niente delle cose che succedono e non ho neanche la voglia di mettermi lì e sforzarmi di capire...”. 









Ecco, è qui il punto, lo sforzarsi di capire e che a volte è già qualcosa. 





Come dicevo all’inizio la vittima più illustre è certamente la Terra e il consumo del suolo, ma qui sarebbe troppo facile cadere nella retorica per spiegare quello che sta succedendo o che è già successo*, quindi in maniera forse un po’ anomala e apparentemente non congruente con il libro del quale vi sto parlando, apro un file del mio ipertesto e vi invito, per chi non lo ha già fatto, ad andare al MAST a vedere la mostra Anthropocene**, bellissimo viaggio multimediale intorno al mondo dell’impronta dell’uomo sulla terra.





Credo che questo basterà per capirci e non aggiungere altre futili parole alle nostre rovine.











* Rapporto: Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici. ISPRA-SNAPA. Edizione 2018.
**Anthropocene. Fondazione Mast Bologna dal 16 Maggio al 5 gennaio 2020.


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