Jo Nesbo


Ed ora che anche l’undicesimo è andato
(e l’ultimo, “Sete”, nel corso di un
solo fine settimana) non mi rimane che attendere il numero dodici. Che arriverà
in settembre, o quantomeno in autunno. E che sarà “Knife” (“Coltello”, sulla
falsariga della consuetudine che, finora, vuole ogni titolo italiano fedele
traduzione di quello voluto dall’autore).









Sto parlando, ovviamente, dei romanzi
di Jo Nesbø e nello specifico della serie che vede protagonista Harry Hole,
l’investigatore della squadra Anticrimine della Polizia di Oslo.





Un autore, l’unico a mio parere, che
giustifichi l’indirizzata passione per il giallo o noir nordico che negli
ultimi anni ha attecchito così corposamente (in termini di vendita) ed
emotivamente (prova ne sia l’entusiasmo che accoglie ogni nuova opera di
qualsiasi scrittore il cui nome abbia il suffisso in –son per gli scrittori o –dotter
per le scrittrici se si parla di svedesi,sempre in –son per gli uomini, ma –dóttir
per le donne se islandesi, e che diventa –sen
o –ssen se invece si tratta di
norvegesi o danesi: certo parliamo dei nomi più comuni perché poi esistono i
vari Camilla Läckberg, Anne Holt, Henning Mankell, Maj Sjöwall e Per Wahlöö,
Peter Høeg, Liza Marklund, Jussi Adler Olsen, ecc…).





Quello che però rende Nesbø
diversamente interessante, un unicum nel panorama della pur apprezzabile
compagnia cantante (ovviamente meglio sarebbe dire scrittrice) è la scrittura (nel
suo caso ottimamente tradotta da Ewa Kampmann, Giorgio Puleo, Margherita Podestà
Heir e Maria Tersa Cattaneo) a fare la differenza. Una scrittura diretta,
veloce, istintiva (anche se direi più istintuale), rude. Rude come il suo
protagonista, Harry Hole, poliziotto suo malgrado, violento e comunque acuto e
sensibile profiler (ha seguito un corso investigativo all’F.B.I. sui serial
killer), alcolizzato, drogato, detentore di una propria morale e di un proprio
codice etico che non rifugge l’omicidio, o la complicità in, come extrema ratio per risolvere, o
quantomeno terminare, un’indagine che
porterebbe altrimenti alla non punizione del colpevole, uomo solo e solitario
(e per questo quanto affascinante) per scelta e per contingenze, un uomo
percosso da sensi di colpa e rimorsi che non possono che renderlo ancor più triste, solitario y final.









Non a caso un altro satanasso delle
vendite, Michael Connelly (un grande del genere: non potrei pensare altro di
uno che, visto il film da ragazzo, parlo de “Il
lungo addio”
di Altman, una volta diventato famoso e potendoselo allora
permettere ha fatto di tutto per comprare l’appartamento, immaginifico e
bellissimo, sorta di altana persa tra le nuvole di L.A., che nel film era la
casa di ElliottGould/PhilippeMarlowe) abbia dichiarato “… Jo Nesbø è il mio nuovo autore di thriller preferito e Harry Hole è
decisamente il mio nuovo eroe …”
. Certo è logico per l’americano provare un
senso di affetto e di protezione nei
confronti del norvegese. L’Harry Hole di quello, infatti, ricalca in maniera
forte già dal nome il suo Harry (Hieronymus)
Bosch, protagonista di una saga infinita (finora ventidue romanzi più altri
quattro, dedicati all’altro suo personaggio cult, l’avvocato sulla Lincoln Mickey Haller, fratellastro di Bosch, in cui
il detective del LAPD compare più o meno centralmente). Anche il californiano è
infatti un uomo solo, provato e a tratti incattivito dalla vita, ma anche lui è
un ottimo investigatore, capace, caparbio e, all’occorrenza, disposto a pagare
in proprio piuttosto che tirarsi indietro ed evitare di scoprire la verità,
qualunque essa sia.





La differenza tra i due la fa il substrato
di cultura europea che Nesbø può far
pesare nei confronti di Connelly (non a caso un altro dei grandissimi, forse
quello che più ha innovato il genere, James Ellroy, ha definito “L’uomo di neve” del norvegese “…un libro insondabile come la neve stessa,
luminoso e astratto come gli ultimi Quartetti per archi di Beethoven:
un’esperienza letteraria davvero unica e frastornante …”
): quella cultura
che affonda le proprie radici nella tradizione, nel caso specifico quella
dell’hardboiled di Chandler ed Hammett, di Thompson e di Cain, riuscendo a
reinterpretarla, attualizzarla, proponendocela così vicina e comprensibile da
rendere improprio il costringere quella di Nesbø nel campo ristretto della
letteratura di genere restituendola, quindi, al novero della letteratura tout court.









Il dolente Harry si muove infatti, sorta
di novello Omero senza Dante in una discesa agli inferi di una Oslo che associa
in sé le stimmate di Babilonia, di Sodomia e della Berlino weimariana, tra
fatiscenti fumerie d’oppio nell’angiporto di HongKong e il grande nulla,
l’Outback australiano, popolato da aborigeni inurbati e dal Grande Draugr, il
coccodrillo d’acqua dolce, tra i rigurgiti neonazi di una società, quella
norvegese, passata troppo in fretta grazie alla scoperta di infiniti depositi
di petrolio nei fondali dei suoi mari da un’economia di mera sussistenza ad
essere la più rampante tra le rampanti neweconomy e vecchi eroi traditi e
disconosciuti, tra il puritanesimo falsamente ecumenico dell’esercito della
salvezza, e antiche amanti ninfomani adorne di diamanti rossi scolpiti a forma
di stella a cinque punte, tra pupazzi di neve pronti ad animarsi come la
bambola assassina Chucky di Tom
Holland e i problemi che la crescente immigrazione dapprima slava ed ora araba
pone ad una società ancora giovane ed inesperta.





Un consiglio, infine, a chi si
apprestasse alla lettura degli undici romanzi (impossibile consigliarne uno e
quindi leggeteli tutti, possono essere anche un’ottima lettura estiva, fresca,
veloce e, a volte, davvero terrorizzante e magari fate come me che ho
cominciato da “Il pettirosso”, che
sarebbe il terzo, lasciando per ultimi i primi due, “Il pipistrello” e “Scarafaggi”:
si perde un pelo di suspense quando si arriva/torna all’inizio ma si entra
subito, e nel modo più diretto possibile, nel personaggio principale Harry
Hole, nella sua vita, nella sua weltanschauung):
procuratevi un taccuino e segnatevi, almeno inizialmente, i nomi. I nomi dei
personaggi (Truls Bernsten e Bjørn Holm, Jussi Kolkka e Kaja Solssen, Odd Utmo,
Aslak Krongli, Erik Lossius e Mathias Lund-Hegelsen), e dei luoghi (Kvadraturen
e Gamlebyen, Urtegata e Tøyen, Botspark e Manglerud, Tyenkrysset e Ytre
Enebakk): abituati ai vari RodeoDrive e Vigata, via delle Oche e
RockFellerCenter, potreste avere qualche problema di … ambientamento.






Commenti