Noi cresciuti a pane e Europa


Elezioni fatte, risultati al centro delle discussioni e delle analisi, ansia di domani. Un domani d’Europa che cerchiamo da quarant’anni, da quando abbiamo cominciato ad a eleggere con suffragio diretto il Parlamento europeo, da quando cioè abbiamo scoperto e attuato una linea di rappresentanza democratica diretta tra noi e le istituzioni di Bruxelles, Strasburgo, Lussemburgo e via sedando.





Noi cresciuti a pane e Europa, noi che quando abbiamo cominciato a votare per il Parlamento europeo eravamo più o meno neo maggiorenni abbiamo vissuto come una splendida vittoria l’Unione Europea che si allargava e si fortificava da un mese all’altro, da un anno all’altro.





Noi che eravamo piccoli quando sentivamo al telegiornale che arrivavano altri Paesi oltre ai Fondatori dell’Europa, tra cui naturalmente l’Italia, e che altri Paesi ancora stavano chiedendo di entrare,  e passavamo da sei a nove poi dodici e poi via via verso i 15 partners poi verso la ventina, pensavamo che niente e nessuno ci avrebbe più fermato nella costruzione di una casa comune europea, che ci stava mettendo al riparo, dopo secoli e decenni, da guerre a volte fratricide e da contrapposizioni spesso capziose.





Invece l’allargamento gestito un po’ sommariamente ha provocato più divisioni che coesioni. L’eterna supremazia decisionale delle Nazioni cioè degli Stati sulla titolarità politica della condivisione degli organismi eletti ha spesso frenato e bloccato iniziative e piani che avrebbero potuto e dovuto farci sentire più europei tutti: migranti, tasse, dazi, embarghi regimi fiscali, rapporti tra blocchi e misura delle vongole ci hanno fatto più litigare e discutere che condividere e unire.





Ma il bicchiere non è mai solo mezzo vuoto. Quest’Europa fa ancora sentire a casa milioni di donne, uomini ragazze e ragazzi che girano e studiano, ricercano e lavorano  a Monaco come a Barcellona, a Parigi come a Bruges. All’indomani di queste capitali elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo vorremmo tutti sentirci più a casa nostra ovunque: a Valencia come a Londra ( se mai sarà possibile anche dopo la Brexit con procedure di riconoscimento dei diritti e dei doveri reciproci) sentirci a casa a Varsavia e a Malta, a Salonicco come a Budapest.





Solo ritrovando quello spirito di casa comune e comunitaria potremmo  scavalcare i mille nodi quotidiani e storici che affannano l’Unione Europea. C’è chi dice che per essere veramente Unione dovremmo diventare una Confederazione, c’è chi invoca una forma di unione sempre più stretta e coesa che coinvolga i poteri di politica estera e gestione della sicurezza interna e non solo quelli della politica economica e monetaria. C’è chi dice che senza scettro e spada questa Europa non può esistere realmente e resistere agli attacchi economici e  informatici mondiali dei nuovi e vecchi blocchi economici e politici che dominano il mondo.





Vedremo che piega prenderà il nuovo corso europeo ma certo noi cresciuti a pane e Europa ci aspetteremmo di vivere una casa più accogliente e comprendente, come quando si torna nella casa dei nonni e trovi quell’atmosfera e quei gesti, quegli angoli e quei colori che ti fanno sentire in famiglia. Come quando stai lontano anche mesi e anni da quella casa e lì sono arrivati nuovi generi e cognati, nuovi nipoti e zii e quando torni ti senti ugualmente e irrimediabilmente nel nido.





Non sarebbe male ritrovare gesti e valori, azioni e  progetti che al di là delle oggettive difficoltà ci facciano sentire una famiglia europea. Dove il problema dei dazi e dei centimetri delle vongole, la gestione delle spiagge e dei migranti siano quasi normali attività da gestire col buon senso della famiglia e non nelle logiche miopi delle contrapposizioni tra clan. Noi cresciuti a pane e Europa lo speriamo.


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