Vargas


Fred Vargas (pseudonimo di
Frédérique Audoin-Rouzeau) ha goduto, e gode, di una riconoscibilità da parte
dei lettori che la pone tra i “grandi numeri” dell’editoria italiana (e non
solo). Io non l’ho letta nel momento di massimo fulgore, presente quando qualcosa
scatta nell’immaginario collettivo e tutti, ma dico proprio tutti, si mettono a
leggere compulsivamente le opere di un autore, o un’autrice come in questo
caso, fino allora sconosciuta (anche la Ferrante, per dire). Ecco: in questi
casi, snobismo, giusta preservazione intellettuale o semplice coglionaggine, di
solito mi rifiuto di accodarmi al gruppone e quindi evito di leggere
l’argomento di conversazione così di moda in quel periodo. Naturalmente,
facendo così, alle volte, mi perdo qualcosa che davvero varrebbe la pena (ma di
solito, in questi casi, una sorta di imprinting mentale mi induce a recuperare
il perduto anche se, a volte, anni dopo).





La Vargas sinceramente la avrei
lasciata volentieri nel dimenticatoio; proprio non  mi attirava.





Se non che, la notizia è di nemmeno
un mese fa, lei si è schierata ancora una volta a difesa di Cesare Battisti.
Ora parlare in questo ambito di Cesare Battisti, della sua storia, della storia
del suo trascorso nelle fila dei P.A.C. (Proletari
Armati per il Comunismo), della condanna a dodici anni per banda armata e per
la partecipazione a quattro omicidi, dell’evasione dal carcere di Frosinone, della
fuga prima in Francia e poi, per quasi dieci lunghi anni in Messico a Puerto
Escondido, del suo ritorno in Francia dove, grazie alla cosiddetta Dottrina Mitterand riguardo i rifugiati
politici, ottenne la non estradabilità
come invece richiesto dal governo italiano, degli anni da traduttore di Didier
Daenincks e Jean-Patrick Manchette e scrittore incoraggiato da Paco Ignacio
Taibo II, della naturalizzazione concessa e poi ritirata, dell’appello promosso
da Bernard-Henri Lévy e firmato da 1.500 personalità del panorama
politico-culturale italiano e francese (tra cui Serge Quadruppani, Philippe
Sollers, Tahar Ben Jelloun, Daniel Pennac, Valerio Evangelisti, Gabriel García Márquez, Pino Cacucci, Massimo
Carlotto, Gianfranco Manfredi, Nanni Balestrini, Tiziano Scarpa), della fuga in
Brasile e del successivo arresto, degli anni di carcere a Brasilia,
dell’estradizione negata fino all’inizio di questo 2019 e del conseguente
arresto da parte dell’Interpol in seguito al quale viene rinchiuso nel carcere
di Oristano dove ammette, per la prima volta dopo quasi quarant’anni “… le proprie responsabilità per i crimini
imputatigli dichiarandosi colpevole di tutti i reati per i quali è stato
condannato…”
e di “… aver preso in
giro tutti quelli che mi hanno aiutato …”
, non è certo questa la sede più
opportuna anche perché sicuramente molto da capire, sapere e studiare su questo
affaire ancora ci sarebbe.





Ma parlavo della Vargas; lei
non solo si mosse attivamente insieme a tutti gli altri, ma scrisse persino un
libro, un pamphlet intitolato “La vérité
sur Cesare Battisti”
. Ma non solo, ed è questo che mi ha fatto scattare la
curiosità di conoscerla meglio: dopo la confessione ai magistrati italiani di
Battisti, lei ha dichiarato caparbiamente di non aver cambiato idea: “… Battisti è innocente, non mi scuso …”.





Interessante, vero? Per me
almeno, vecchio creatore di trame. Ed allora ecco perché, cercare di saperne di
più di una scrittrice che non accetta la realtà dichiarata (ma siamo certi che
quella narrata sia la realtà? ecco il punto d’interesse …) mi sono deciso,
infine, a leggere qualcosa di suo. La scelta, nella numerosa bibliografia della
Vargas, è così caduta sulla “Trilogia dei santi Evangelisti” (“Chi
è morto alzi la mano”
del ’95, “Un po’ più in là sulla destra” del
’96 e “Io sono il tenebroso” del ’97).









E non sapendo cosa aspettarmi,
devo dire che sono rimasto piacevolmente sorpreso dal rom’pol (romance polar). Intendiamoci, nulla di particolarmente geniale
o indimenticabile, ma un certo non so che di molto francese, una capacità di
interessare il lettore insinuandosi lentamente nella sua testa, instillando
dubbi, proponendo misteri, accompagnandolo per mano in un mondo sì
contemporaneo ma al contempo trasfigurato nelle paure del passato di ognuno,
quasi si tornasse bambini e da bambini si giocasse ancora a nascondersi per
farsi paura questo sì l’ho trovato ed apprezzato (non a caso il suo stile è
stato definito poliziesco-poetico cioè
un non noir quanto un nocturne).
Notturno, come le notti dell’infanzia quando il mondo vero non era quello del
giorno e del sole ma quello onirico del sogno, degli angoli bui, delle
richieste non fatte e delle risposte mai ottenute. Raccontato così, mi rendo
conto, potrebbe sembrare goticheggiante, ma sono il tono, e la scrittura, a
ingentilire il tutto rendendolo moderno.





Senza dimenticarsi di un atout che per me diventa la vera chiave
di volta nella comprensione, e nell’apprezzamento, dello scrivere della Vargas.
Seguendo le orme di questi Evangelisti,
sembra quasi di doversi e potersi imbattere da un momento all’altro in Nestor
Burma, il personaggio più famoso di Leo Malet, sicuramente il più significativo
rappresentante insieme a Georges Simenon ed André Héléna del polar francese, è il surrealismo delle situazioni, le motivazioni dei
personaggi, la joie de vivre di Marc
e Lucien e Matthias, i tre protagonisti, e di Louis detto Ludwig e di Armand,
zio di Marc, mescolate e sovrapposte all’accettazione delle improbabili
situazioni e dei surreali misteri che si trovano ad affrontare a far sì che i
romanzi trascolorino nel surrealismo letterario da cui d’altronde provenivano
sia Malet (anche se dopo i primi successi da giallista venne espulso dal
movimento con l’accusa di essere diventato “seguace
di una pedagogia poliziesca “
) sia il padre della stessa Vargas.





Un filo rosso, dunque, unisce i
padri del genere francese all’autrice, passando, ovviamente, per gli altri
grandi che discendono direttamente da Malet. Parlo di Jacques Tardi (che delle
avventure di Nestor Burma ha realizzato una serie di bande dessinée tuttora in produzione) e soprattutto di Jean-Patrick
Manchette autore grandissimo che, già solo con i titoli di alcuni suoi romanzi
(“Che i cadaveri si abbronzino” del
’71 o “Piovono morti” del ’76)
giustifica questo apparentamento.





Attenzione però: non di mera
rivisitazione si tratta; quello della Vargas, e tenendo fede al suo motto che è
“… fouiller, gratter, étudier l’empreinte
(ricercare, grattare studiare le tracce), è un vero e proprio
riappropriarsi di una scrittura alta e nello stesso tempo felicemente ironica,
divertita e divertente, che sa sì far sorridere ma anche e forse più pensare
(poi che io personalmente continui a preferire i precedenti, ma non fa testo).





Mi rendo conto che ero partito
alla ricerca di una storia, quella di Battisti, ed alla fine ho scoperto invece
la storia di una scrittrice brava e fortunata (nel senso che ha avuto fortuna presso
il grande pubblico vendendo decine di migliaia di copie di ognuno dei suoi
romanzi).





Una scrittrice, indubbiamente,
da conoscere e seguire.






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