Tempesta


Via Ranzani a quei
tempi (parlo di quando ero ancora studente indeciso tra matematica e lettere,
quindi dei primi miei anni d’università) era per noi poco più di una terra di
nessuno, un non luogo lungo che partiva dal vecchio cinema parrocchiale Perla
ed arrivava alla sagoma fatiscente dell’ex gasometro e stretto tra il viale e la
ferrovia (la “veneta” che poteva
portarti verso la bassa e tutti i paesini ferraresi/veneti, ma anche, prendendo
il rapido della notte, a Vienna, diretto e senza fermate; almeno così garantiva
Vittorio Giardino in una delle avventure del suo Sam Pezzo…).





Con l’amico del
cuore di allora, il Paolo Rossi giornalista, non il comico, ci piaceva girare
di notte, noi due soli in auto, alla ricerca di quella che chiamavamo la
“Bologna americana”, le periferie abbandonate o in costruzione, i nuovi
supermercati con i loro parcheggi sotterranei deserti, le prime rotonde di
accesso alla tangenziale, i distributori aperti tutta notte con i foodtruck che
emanavano sentori di olio esausto e salsicce bruciate, i bar che non chiudevano
mai la serranda (oppure sì, la serranda la potevano anche abbassare, ma volendo
ed essendo conosciuti, potevi sempre infilartici sotto per l’ultimo bicchiere o
il primo cappuccino).





Si parlava di
niente e di tutto, della vita che era stata e di quella che sarebbe venuta, di
delusioni e speranze, di sogni e realtà, di amici e di ragazze, di cinema e di
libri e di teatro e di giornalismo che avremmo girato, che avremmo scritto, che
avremmo diretto, che avremmo reinventato. Fu in una di quelle scorribande
notturne che, lui c’era già stato, mi portò appunto in via Ranzani “… perché vedrai c’è un locale carino, più
che carino, e poi lo gestisce una bellissima signora …”
.





Arrivati davanti queste vetrine oscurate (una novità per l’epoca o almeno una novità per i posti che frequentavo io) e superato l’esame visivo di un muscoloso di colore strizzato in un doppiopetto dalla vita fasciante ma dalle spalle enormi, entrammo in un vero e proprio american bar con i classici separé, al soffitto il globo sfaccettato che girava  ed un lungo bancone di legno scuro e lucido con davanti una decina di alti sgabelli. La cosa più incredibile, però, fu la signora che ci accolse per farci accomodare e che mi sorrideva guardandomi fissa.





Sotto quei capelli
voluminosamente fonati, sopra quei tacchi stiletto, dentro quel vestito di lamé
lungo fino ai piedi ma dallo spacco inguinale, dietro quel reggiseno imbottito
che le spingeva esageratamente il seno in fuori c’era la mia vicina di
pianerottolo. Ricordo che, fino ad allora, con questa donna nella vita
quotidiana discreta, elegante e bella ma di certo non vistosa e non volgare c’erano
stati solo saluti educati e, da parte mia, imbarazzati e giusto qualche
chiacchiera informale come si usa (usava) tra vicini. Aveva anche una figlia,
molto carina e più giovane di me di un paio d’anni e le voci (anche allora tra
i coinquilini non mancavano le malevolenze) dicevano fosse separata o che forse
il marito fosse fuggito o che forse ancora lei lo avesse cacciato di casa
sempre che un marito ci fosse mai stato.





La serata con
Paolo fu strana, a dir poco, condita di imbarazzi e silenzi e sguardi. Tutti
miei, ovvio. La storia, poi,  finisce
qui. Poco tempo dopo le mie vicine così carine si trasferirono, con la figlia
ci furono le solite promesse … ci
sentiremo … scriviamoci, magari telefoniamoci …
così banalmente tipiche da
sapere già in partenza che non si sarebbero mai avverate.





Tempo dopo, forse
un anno, tornai al locale di via Ranzani ma anche quello aveva cambiato
gestione ed era diventata una paninoteca di periferia che non poteva offrirmi
alcuna attrazione. Via Ranzani quindi rimase nel ricordo come un nulla da
attraversare obbligatoriamente venendo verso i viali dal ponte di SanDonato ma
nulla più.









Fu per questo, quando un paio d’anni fa un amico mi indicò come ottimo “Tempesta” in, appunto, via Ranzani 17, che impiegai qualche mese per andarlo a visitare. Quando successe, me ne innamorai immediatamente. Questione di sensazioni, ovvio. Già la struttura con queste alte scaffalature di legno scuro che si alzano fino al soffitto affollate di bottiglie di vino, che a me ricorda tanto “Zampa” (ecco un altro posto da non lasciarsi sfuggire). E poi, e forse soprattutto, l’empatia impossibile da non trovare con i ragazzi dello staff (parafrasando Herbert Pagani “… educati gentili …”) capitanati da quell’Agostino Tempesta che regala il suo nome al locale stesso.





Il menù è quello
tipico delle vecchie osterie o dei moderni bar
a vin
: taglieri, bruschette, panini e poi, al forno, tomini e scamorze o
brie per finire con tigelle e, novità golosissima (anche se ultimamente si
cominciano a trovare anche altrove) delle ottime piadine con impasto o di zucca
o di vino rosso (nero d’avola) da farcire secondo golosità ed estro del momento;
tutto normale, come si vede, ma la differenza la fa, come a volte succede e
molto più spesso no, la qualità dei prodotti offerti (piccoli presidi, produzioni
limitate, una ricerca attenta e capillare: inutile buttarsi sul dozzinale se si
vuole avere una qualche possibilità di riempire il proprio locale in tempi in
cui c’è un esercizio commerciale ogni cinque abitanti; meglio, molto meglio,
affidarsi alla serietà ed alla voglia di proporre cose buone).





Un cenno, ma solo
perché lo spazio è tiranno, va doverosamente rivolto alle proposte della
cantina. Che sono variegate e, abbracciando varie realtà, tentano di dare
un’idea, non potendo certo essere esaustive, di quello che è possibile trovare,
e cercare, nel vasto mondo dell’enologia. La scoperta dell’ultima visita, per
dire, è stata una bolla (un Blanc de Blancs delle Dolimiti) di
Castel Noarna, un Trento brut
biologico davvero interessante, giustamente delicato in bocca ma con una
persistenza davvero notevole: quello che serviva per contrastare sia la dolcezza
della mia piadina di zucca sia la sapidità del crudo toscano che
l’accompagnava.





Un indirizzo da non dimenticare, quindi, ed allora, per finire, non resta che ricordare a noi tiratardi che “Tempesta” è aperto dal martedì alla domenica dalle 19,00 all’01,00 (nei weekend l’orario di chiusura può subire piccole variazioni) e, vista l’affluenza costante, che il numero di telefono per eventuali prenotazioni è lo 051.992.2636.






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