Guardare là a 55 milioni di anni luce è metafora di una esigenza innata di “oltre”. E deve farci sentire molto relativi
Ci facciamo gli auguri e nel contempo ci guardiamo con diffidenza. In cagnesco, si dice da qualche parte. Ci scambiamo segni di pace e sotto sotto, ma neanche tanto, ci mandiamo segnali di guerra e contesa. Cerchiamo orizzonti azzurri e riempiamo la nostra vita di segni grigi. Di ambiguità, di detto e di non detto, di accenni tra le righe quando le righe dovrebbero parlare non le interlinee.
Ammazziamo di plastica i nostri mari, facciamo sciogliere di caldo i nostri ghiacciai, ci si uccide al mattino alle 9 meno dieci davanti a una scuola dove centinaia di bambini con zaini e zainetti dovrebbero tranquillamente entrare in aula, si continua a produrre smog e ad avvelenare le terre: i buchi neri non sono solo quelli della galassia, i buchi neri siamo noi. Qui e ora.
Abbiamo comportamenti spesso incomprensibili, talora da analisi psicologica se non psichiatrica: qualcuno ha fatto i conti che passiamo 3 quarti della nostra vita a dire bugie più o meno pesanti, più o meno leggere, e saremmo talmente abituati a mentire che mentiamo a noi stessi e non ce ne accorgiamo più.
Entriamo nel buco nero e ci sembra di stare in un orizzonte diverso, magari celeste. Ovviamente non è tutto così, ci sono anche delle grandi storie di bene e di solidarietà, delle belle esperienze in cui la solidarietà e l’incontro hanno la meglio sul contrasto e sulla sopraffazione.
Ma noi, ahime e ahinoi, avvertiamo, sentiamo, rileviamo più il male del bene, più il nero del bianco, più il grigio dell’azzurro. Ci fa bene per questo ogni tanto alzare gli occhi dalla nostra piccola e spesso meschina visura catastale personale e adocchiare gli immensi spazi galattici dove la prima foto di un buco nero ci fa pensare quanto siamo piccoli piccoli e fuori là tutto è immenso e incalcolabile. Fare una fotografia e guardare a 55 milioni di anni luce è metafora piena di una esigenza innata di oltre. Di altro. Di lontano.
Quella foto del buco nero oltre ad essere uno dei più grandi passaggi per la scienza come sono stati il cannocchiale di Galileo e lo sbarco sulla Luna, rappresenta anche una scommessa interiore per tutti noi a guardare oltre, a cercare il vuoto pieno e il pieno vuoto, a sentirci relativi, molto relativi e meno molto meno assoluti o assolutisti.
E’ vero passiamo, costretti dalle faccende affaccendate di tutti i giorni, le nostre ore tra file al centro unico prenotazioni, famoso cup, e macchine che ci assediano, tra burocrazie strozzanti e stressanti e le povertà incipienti, tra malattie frequenti e patologie rare ma un’occhiata là fuori col cuore e non solo con gli occhi ci potrà far bene.
Il buco nero, al di là della definizione scientifica di regione spazio tempo con le sue caratteristiche, ci ricorda una galleria cosmica, un passaggio universale dal vuoto al pieno, dal pieno a vuoto, universale e interiore. Per misurarci la fragilità, per capire le nostre povere forze, per immaginare qualcosa di diverso, di meglio e di umano. Lontano o vicino che sia.
Commenti
Posta un commento