Chi deciderà i destini della Siria? Tentativi di nuovi equilibri geopolitici a Idlib


GuardaMondo inizia a muovere i suoi primi passi e vi porta ad Idlib al confine turco – siriano dove in questi giorni stati, Nazioni Unite e organizzazioni non governative stanno mettendo in scena una curiosa pièce teatrale, per il cui atto finale sono previste lunghe attese e molta suspence. Da qualche settimana infatti, è di nuovo scontro aperto tra le truppe del leader siriano Bashar Al – Assad e le forze anti-regime che combattono per sottrarre al suo controllo quante più regioni possibili.





Se è vero che la diplomazia è la versione nobile della negoziazione, questa non sembra una skill propria della governance siriana, mentre è vero, in questo particolare contesto, che i leader di Russia, Turchia ed Iran danno impressione di sapere bene di che cosa si tratti. Infatti, mentre un impaziente Assad per fermare i ribelli di Idlib minaccia ritorsioni senza precedenti, Erdogan si è fatto, apparentemente ed inaspettatamente, portavoce di un fronte che invitava alla non violenza e al dialogo, mentre ha iniziato, com'è nella sua natura, a schierare truppe al confine in questione.  É sulla base di questo invito che il 7 Settembre si è aperto a Teheran un vertice trilaterale con l'obiettivo di aprire un dialogo ed elaborare un progetto di intervento alternativo. Il vertice che riunisce Russia, Iran e Turchia lascia sullo scenario politico internazionale un'impronta che ha tutta l'aria di diventare indelebile. La partita per decidere il futuro della Siria si è sempre giocata ad un tavolo dove potenze occidentali come Francia e Stati Uniti facevano da padrone, ma in questo momento con Macron impegnato nella costruzione di un solido fronte anti populista europeo e Trump chiamato a rispondere del sempre più evidente declino statunitense e di una forte opposizione interna, sono altri gli stati che cercano di vedere il possibile bluff di Assad e determinare nuove sfere d'influenza.





Viene spontaneo domandarsi come mai Putin, Erdogan e Rouhani siano così tanto interessati a tirare le fila di questa battaglia, soprattutto dal momento che continua ad essere in corso un evidente braccio di ferro tra Turchia e Russia a proposito delle azioni da intraprendere. Ognuna di queste potenze ha un diverso motivo per interessarsi alla stabilità della regione, ma tutti quanti fanno capo al valore strategico che la Siria ha acquisito, specialmente negli ultimi anni. La grande strategia geopolitica della Russia si è sempre mostrata fedele al principio Mckinderiano “chi controlla il mare controlla il mondo” ed è su questa base che secondo Putin la presenza in Siria rappresenta un possibile trampolino di lancio per guadagnare accesso anche ai mari caldi, soprattutto senza dover scendere a patti con la Cina, come sta invece avvenendo nel non lontano mar cinese meridionale. Non va inoltre dimenticato che questa per Putin sarebbe l'occasione di dimostrare all'Occidente, di cui  continua a non sentirsi parte, che la Russia è in grado di riuscire laddove altri hanno fallito. La strategia iraniana in Siria è invece legata a ragioni di tipo più economico, che fanno capo nello specifico al progetto di creazione di un'unione economica di cui il Libano dovrà essere parte integrante e fondamentale. Da qui la necessità per Rouhani di controllare la situazione in Siria, poco importa se per farlo la sua lealtà deve continuamente cambiare, che stia dalla parte dei ribelli o del regime di Damasco, l'obiettivo è avere gli strumenti per aumentare il proprio potere economico ed uscire dalla categoria delle così dette potenze medie ed entrare nella master class delle grandi potenze emergenti. Erdogan invece, dal canto suo, ha bisogno che le regioni occidentali della Siria restino stabili in quanto zone cuscinetto, utilizzate per contenere l'emergenza rifugiati. Questa stessa zona è anche uno degli strumenti prediletti dal leader turco per esercitare pressioni sull'Unione Europea, un eventuale mancato controllo del passaggio verso l'Europa e l'apertura delle frontiere ai migranti, costituirebbe motivo di ulteriore tensione e di difficoltà. Nonostante alcuni dei protagonisti siano cambiati, il destino della Siria continua ad essere in balia dei volubili interessi di altre potenze e dei disegni politici di Assad. Le Nazioni Unite invocano un cambiamento di strategia, ma all'appello sembrano rispondere in pochi. Gli Stati Uniti  cercano di rientrare in gioco e riacquisire capacità d'influenza utilizzando l'arma economica per rinforzare il loro ruolo, soprattutto nei confronti di Turchia ed Iran, l'Occidente invece guarda indietro, ritornando sui suoi passi, per riformulare un concetto efficace di realpolitik, che servirebbe oggi più che mai. Anche se all'apparenza tutto può sembrare già scritto, bisognerà attendere ancora per vedere quali interessi prevarranno arrivando a determinare reali conseguenze. Potrebbe essere l'Occidente o il triumvirato russo – turco – iraniano, quello che è certo è che in gioco c'è molto di più di quello che è possibile vedere e che come proprio come in una partita a scacchi, ci possono essere molti colpi di scena prima di capire chi darà scacco matto a chi.


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