I diari bollenti di Mary Astor - Il grande scandalo a luci rosse del 1936


La battuta che forse più ricordiamo di Mary Astor, “… ebbene sì, sono un’inguaribile bugiarda …”, è quella con cui, nei panni di Ruth Wonderly/Brigid O'Shaughnessy, risponde ne “Il mistero del falco”, il film del 1941 di John  Huston, ad un giovane Humphrey Bogart/Sam Spade (un Boogie non ancora identificato dall’iconico smoking bianco del Rick di “Casablanca”) che la accusa di avergli mentito (la storia, per chi non la ricordasse, è bellissima e confusa un bel po’: non per niente è tratta dall'omonimo romanzo di Dashiell Hammett che, in quanto a complessità delle trame inventate, non aveva nulla da invidiare all'altro grandissimo suo contemporaneo, Raymond Chandler).









Ma per giustificare il come una simile frase debba identificare un’attrice, la Astor, al tempo all’apogeo della sua maturità, bravura e bellezza, un’attrice che fu una quasi stella sia del muto che del parlato e fu spesso lì lì per diventare una star di prima grandezza, ma fu condizionata da un aspetto sofisticato ed altero che le fu più di ostacolo che di aiuto (vinse un oscar, vero, ma come miglior attrice non protagonista ne “La grande menzogna” con Bette Davis mentre le fu negato quello da attrice protagonista per la performance nel già ricordato “Falcone”) e che, per dirla con le parole di Goldwin, la G della M.G.M., la Metro Goldwin Meyer, “… sembra una regina ma può parlare come uno scaricatore di porto …”),  bisogna fare un salto indietro. Solo di qualche anno per ricordare come anche prima, molto prima della pubblicazione di “Hush Hush” (la voce pettegola della Mecca del Cinema di fine anni ‘40) ed ancora più di “Hollywood Babilonia” (la prima e più completa bibbia sugli scandali e i si dice di fine anni ’50), scandali e pettegolezzi riempivano ugualmente  l’immaginario di chi, a vario titolo, frequentava e viveva le capitali del cinema. Avete letto bene, LE capitali. Allora, infatti, nei favolosi anni ’20 la Mecca del cinema era NewYork e solo successivamente, per una mera questione di incentivi fiscali, si spostò nella nascente megalopoli sulla costa ovest, El Pueblo de Nuestra Señora la Reina de los Angeles del Rio de la Porziuncola di Assisi, ovvero, come internazionalmente e più sobriamente è conosciuta, LosAngeles.





Certo, prima, negli anni ’20, ci fu il cosiddetto CircoloDelCucito, la elite lesbo-chic che comprendeva, oltre MercedesDeAcosta e GretaGarbo anche star come MarleneDietrich, IsadoraDuncan, TallulahBankhead, MariaHuxley, AllaNazimova e SalkaViertel. Certo, nel 1921 ci fu lo scandalo Fatty Arbuckle dal nome, o meglio soprannome, dell’attore, regista e produttore Roscoe Conkling Arbuckle, intelligentissimo iniziatore ed inventore di tutta la lunga teoria del ciccione divertente che ebbe la sua massima espressione in Oliver Hardy (l’indimenticato Ollio). Uno scandalo alla cui base, ovvio, ci fu sesso e sangue. Una celebrity, forse LA celebrity dell’epoca che fa sesso (selvaggio, violento e alla fine sanguinoso) con una starlette sconosciuta. Nulla fu mai provato, specie la colpevolezza di Fatty, ma la sua carriera, una carriera di eccessi e sfrontatezze, non poteva essere sopportata dalla puritana e bigotta America wasp degli anni del proibizionismo e quindi andava annullata, distrutta, cancellata (tutti i suoi cortometraggi, sia quelli interpretati sia quelli diretti, furono bruciati e nulla, o quasi, rimane a testimoniare l’inventiva di quello che fu il vero iniziatore delle carriere dei grandissimi che tutti ricordiamo, da Charlie Chaplin a Buster Keaton).









Ma visto che non è di Fatty che vogliamo parlare, bensì di Lucille Vasconcellos Langhanke (il vero nome di Mary Astor), eccoci a questo ”I diari bollenti di Mary Astor - Il grande scandalo a luci rosse del 1936” un romanzo, uno romanzo assolutamente sui generis, impaginato come si trattasse di un supplemento del NewYorker ed arricchito dalle illustrazioni dell’autore Edward “Ed” Sorel (designer, illustratore e animatore statunitense che fondò nel 1954 i PushPinStudios, una delle culle del design americano moderno e che, oltre ad aver scritto e illustrato molti libri, ha firmato 44 copertine del «New Yorker», oltre a collaborare con “Vanity Fair”, “The Atlantic Monthly” e “Time”).





Il romanzo è la storia del diario che l’attrice scriveva conteggiando i numerosi incontri con uomini diversi che venivano rigorosamente classificati (“… sessualmente non mi controllavo. Bevevo troppo, e a tarda sera finivo per trovare qualcuno ‘molto attraente’ …”). Già questo avrebbe costituito motivo di scandalo. Ma se si pensa che i diari furono esibiti durante il processo per l’assegnazione della figlioletta Marylin dopo il divorzio dal marito (fedifrago e bigamo) Franklyn Thorpe si capisce come il procedimento abbia monopolizzato per lungo tempo le prime pagine dei quotidiani a scapito perfino delle notizie (siamo nel 1936) sulla tremenda crisi economica, ricordata come Grande Depressione, che mise in ginocchio l’economia della parte più nascosta e meno scintillante del paese a stelle (poche) e strisce (quelle lasciate dalle ruote dei carri dei contadini che abbandonavano le loro, ormai improduttive, fattorie).





Un romanzo che è la storia di varie ossessioni. Su tutte, due: quella dell’autore per l’attrice che aveva amato da giovane, e quella di Mary stessa che passò tutta la vita cercando di trovare un proprio equilibrio scappando dagli uomini (padre, mariti, lo stesso George Kaufman, l’amore della vita, che subito prima, durante e dopo il processo la abbandonerà preferendo al coraggio della verità il rinchiudersi nelle proprie fobie e idiosincrasie).


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