Strage di via D’Amelio: il più grande depistaggio della storia

L’Italia era ancora sgomenta per le immagini dell’autostrada che si squarcia a Capaci e divora Giovanni Falcone, la moglie e gli uomini della scorta, quando, pochissimo tempo dopo, il 19 luglio 1992 in via D’Amelio, nel breve tratto tra le auto della scorta ed il portone di casa della madre, una Fiat 126 imbottita di esplosivo uccide Paolo  Borsellino e cinque persone della scorta.

Borsellino aveva 52 anni ed era uno dei magistrati più importanti del “Pool antimafia” di Palermo. Insieme a Giovanni Falcone aveva svolto le indagini che avevano portato al famoso “maxiprocesso” del 1986, un processo storico nelle inchieste contro la mafia.

A distanza di 26 anni, il 30 giugno 2018 la Corte d’Assise di Caltanissetta ha depositato le motivazioni [1865 pagine] per la sentenza del processo chiamato Borsellino quater, quello sul depistaggio delle indagini. Il processo, iniziato nel 2012, era finito con la condanna per strage e calunnia. In particolare, per il reato di calunnia era stato condannato Vincenzo Scarantino che nel 1992 si autoaccusò falsamente per aver partecipato all’organizzazione della strage. Il processo stabilì che egli era stato «indotto a commettere il reato».

In particolare i Giudici della Corte D’Assise di Caltanissetta scrivono: «Le dichiarazioni di Vincenzo Scarantino sono state al centro di uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana».

«C’è un collegamento tra il depistaggio e l’occultamento dell’agenda rossa di Paolo Borsellino, sicuramente desumibile dall’identità di uno dei protagonisti di entrambe le vicende».

Il personaggio a cui fanno riferimento è Arnaldo La Barbera, funzionario di polizia che coordinò le indagini sull’attentato, deceduto oltre dieci anni fa.

La Procura di Caltanissetta nel contempo ha chiesto il rinvio a giudizio per tre poliziotti: per tutti l’accusa è di calunnia in concorso.

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