Col cuore si vince

Col cuore si vince, diceva la pubblicità di una grappa che ormai ricordano in pochi. Uno slogan non banale di questi tempi. L’ondata di aggressività e di rancore non ha precedenti. Ogni giorno aumentano i toni, cresce il livello dello scontro, si moltiplicano i motivi del contendere. E’ come vivere in una pentola a pressione senza valvola di sfogo. Cresce la diffidenza verso tutto e tutti. I comportamenti di ognuno sono motivo di diffidenza, di rancore o di frustrazione, a seconda di dove ci si pone. Tutti contro tutti. Ogni elemento di diversità non è mai visto come un possibile arricchimento, ma come una minaccia. La guerra tra poveri imperversa, gli slogan la fanno da padroni. Lo stile ultras, dagli spalti degli stadi è dilagato ad ogni ambito della vita sociale. Non vale più il giudizio critico, interessa solo individuare un avversario o anche un nemico, meglio se più debole, verso cui accanirsi, fregandocene delle conseguenze. Per superare le difficoltà ci sarebbe invece bisogno di amore. So che fa sorridere, perché l’amore è ormai una parola relegata nei confini dell’esperienza sentimentale tra due persone, ma non è sempre stato  così. Anche gli italiani hanno vissuto periodi di forte e diffuso amore per qualcos’altro; amore per la patria, di amore per la libertà, per l’indipendenza. E’ stato l’amore per il prossimo che ci ha permesso di superare  anni di tumultuosi cambiamenti sociali e demografici. L’amore per il lavoro ha permesso la nascita di imprese di successo che il mondo ci invidia, perché dall’idea l’amore si è trasferito alla materia ed ha contagiato anche il cuore dei lavoratori che in una impresa di successo non sono semplici unità lavorative, ma sono preziosi collaboratori: amano il loro lavoro. L’amore per la scoperta ha portato l’uomo a raggiungere traguardi inimmaginabili in tutti i campi, a partire dalla medicina. Le recenti espressioni della vita pubblica e di quella collettiva più in generale, sembrano purtroppo aver dimenticato questa dimensione. Si passa il tempo a declamare l’odio per qualcosa o per qualcuno, sia l’Europa, siano gli immigrati, i tedeschi, i comunisti, i francesi, i cinesi, insomma, gli altri, come se chi odia fosse un concentrato di virtù, come se colpendo qualcuno risolvessimo un nostro problema. Una parte del mondo, tra cui anche il nostro Paese, sta alzando barriere che oltre che doganali o di confini o di culture, sono destinate a diventare  i muri di quella che ben presto sarà la prigione di noi stessi. Convinti di escludere qualcuno, ci escluderemo noi dal resto del mondo. E’ una facile profezia perché è già successo. In particolare è successo nel nostro continente, non ha mai portato niente di buono e se ne è sempre usciti a caro prezzo. Si sa, la vita reale pone sempre problemi da affrontare e da risolvere. Sempre c’è una soluzione da trovare e una responsabilità da prendersi. Ci sono sempre dei limiti da porre. Chi comanda lo sa:  dal capo condominio al Presidente della Repubblica, chi comanda deve decidere con intelligenza e con cuore, nell’interesse di quanti coinvolti e del loro futuro. Nelle valutazioni e nelle scelte, nel linguaggio e nell’atteggiamento, una  cosa andrebbe ricordata: il libero sfogo all’odio figlio dalla frustrazione e dell’insoddisfazione, non ha mai generato nulla di positivo. Non poco. Nulla. Nessuna patria, nessuna libertà, nessun successo, nessuna novità, nessuna ricchezza, nessuna vita migliore. Niente. L’odio ha portato con sé sofferenza e tanta miseria, sia umana che materiale, sempre e inevitabilmente. Per questo le scelte vanno fatte con intelligenza, ma anche con amore.

 

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