Basket: momento della verità per le bolognesi

Playoff allora. Playoff che vedono la Fortitudo arrivare felicemente, ma non senza patemi, alla semifinale del proprio girone contro Verona battendo 3-0 una volitiva e mai doma Agrigento. Ma andiamo con ordine.

Gara 2 dei playoff che vedono la Fortitudo impegnata in casa nella, difficile, rincorsa all’unica, cervellotica ancorché emozionante, promozione. Una gara due che vede una Fscudata svogliata e, forse, addormentata, far correre un’incredula Agrigento fino al + 10 salvo poi riprendersi a cavallo tra 2° e 3° quarto piazzando un parzialone che sembrerebbe chiudere i giochi. Non fosse che la biancoblu a volte rivela un’insospettata propensione ad essere una squadra femmina, capricciosa e affascinata da se stessa. Succede così che la frazione finale diventi pelosa e permetta agli isolani di poter provare perfino il tiro del -1. Sbagliato quello, la partita si conclude sul 78 a 72 per la Fortitudo. Che dire di questa ennesima prova dai due volti. Che la squadra allenata dal Poz non riesce, psicologicamente, a esimersi dal complicarsi la vita: questione di concentrazione e, forse, insicurezza; insicurezza, se questa fosse, che potrebbe pesare a questo punto del torneo. Da un punto di vista puramente tecnico, non si può non sottolineare come Pozzecco abbia drasticamente ridotto le rotazioni (e qui è più facile diagnosticare la mancanza di fiducia del coach in un gruppo non esattamente coeso) accorciando la rosa (nel 3° quarto nessun cambio per otto interminabili minuti). Scelta questa che obbliga tre giocatori (Mancinelli, Cinciarini e Rosselli, chi altri) a stare in campo per più di 30 minuti. Alla faccia del “… cerchiamo di chiuderle in fretta per far riposare i vecchietti …” con cui si era presentata la serie …

Gara 3 ad Agrigento, una gara pazza, inesplicabile. Parzialoni che si inseguono e si annullano (anche di 20 punti, prima per l’una e poi subito azzerati da quelli dell’altra). Alla fine, sangue, sudore, stupidità assortite, ma la F passa e trova, potendo far riposare i suoi vecchietti terribili (a proposito,anche sabato i migliori Mancinelli e Rosselli, assecondati, per una volta, dalla prima decente di quell’Amici che avrebbe dovuto essere la punta di diamante e si è dimostrato per tutto il campionato la scommessa, l’ennesima, perduta, da coach Boniciolli) perché si dovesse puntare sugli altri … per dire: McCamey, un americano, e Fultz 6 minuti scarsi in due. E allora facciamoli riposare gli antichi draghi e speriamo che questo basti contro un’ostica, se ce n’è una, Verona.

Playoff Virtus, adesso. Che ha perso l’ennesima sfida ad eliminazione questa volta contro l’Avellino dei due polifemi Fesenko (alla fine 34 di valutazione, c’è altro da dire?) e Lawall (curiosamente scartato per problemi fisici in estate dalla V e tornato giusto giusto in tempo per la volata playoff) cui nulla ha potuto opporre il solito, monumentale Aradori (anche domenica un ventello con il 50% al tiro) che ha pagato, lui come tutti, stazza e dimensioni ridotte; se poi ci aggiungiamo un Alessandro Gentile lontanissimo, dopo l’infortunio, da una condizione appena accettabile e rotazioni ridotte al lumicino (qualcuno si degnerà mai di prendersi la responsabilità per la disastrosa gestione del mercato?) si fa presto a spiegare il, probabile, mancato raggiungimento dell’obbiettivo minimo di stagione, gli ormai insopportabilmente agognati playoff. Playoff che poi, matematica docet, sono ancora possibili, certo. Ma a che servirà arrivarci? Se anche fosse, capiterà una tra Milano e Venezia e saranno tre-batoste-tre memorabili. Non credendo che la società abbisogni di un incasso in più, torna prepotente il tarlino maligno. E se davvero ci fosse la volontà di liberarsi dello staff tecnico giustificando la decisione con i risultati mancati? Ecco spiegatoil tardivo inserimento di Wilson, un giocatore che avrebbe fatto comodo, eccome, anche solo un mese prima. In caso contrario, se cioè il tarlino maligno tale dovesse rivelarsi, e cioè solo una cattiveria gratuita, resta però una domanda che rode: ma perché, appunto, non si è agito in tempi congrui?

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