Perché lo sviluppo dell'Italia passa dall'abbandono del petrolio

E’ dei giorni scorsi la notizia che il Consiglio di Stato ha dato il via libera alle nuove trivellazioni per cercare petrolio e metano nel mare Adriatico. Alle concessioni date dal Governo e dal Ministero dell’Ambiente si erano opposte le Regioni Puglia e Abruzzo e diverse amministrazioni locali compreso il Comune di Cattolica di fronte al quale è prevista a 12 miglia dalla costa la piattaforma Bianca e Luisella che prevede la perforazione di otto pozzi e la costruzione di tre condotte sottomarine.

E’ una notizia che è passata un po’ di sottofondo rispetto ad altri avvenimenti, ma non si tratta di una cosa da poco. L’area sulla quale, il Governo Renzi e poi Gentiloni, hanno dato la possibilita’ di fare trivellazioni  è di 30.000 km quadrati e va dalla punta della Puglia fino a Rimini, come si puo’ notare dalla piantina allegata.

                                

Le piattaforme che svolgeranno queste ricerche petrolifere si aggiungeranno alle 79 piattaforme con 463 pozzi gia’ esistenti in Italia. Quelle presenti nel mar Adriatico,  come si puo’ apprezzare dalla seconda piantina allegata, sono particolarmente numerose.



Da un  lato s’introduce il fermopesca per favorire la riproduzione delle specie ittiche nel mar Adriatico che fornisce la metà del pescato italiano e contemporaneamente si concedono le concessioni per interventi di questo tipo che bombarderanno il mare ed i fondali con scoppi ripetuti su un’area immensa, in un mare basso, che somiglia ad una grande laguna, e quindi ancor piu’ fragile dal punto di vista ambientale di altri contesti marini. Geniale…

Questa vicenda, che ormai sembra molto difficile da fermare senza pagare sanzioni pesanti alle compagnie petrolifere, sollecita qualche riflessione. Mentre l’Arabia Saudita insieme ai giapponesi progetta il piu’ grande campo fotovoltaico del mondo (200 GW) sul proprio territorio e mentre l’Irlanda investe in modo strategico sui supervolani che sono il futuro dell’accumulo elettrico, nel nostro paese, che sarebbe favorito da un punto di vista climatico e tecnologico per acquisire un ruolo nella produzione e nell’uso d’apparati rivolti alla produzione e alla conservazione di energie rinnovabili, si cerca il residuo petrolio del mare Adriatico, che gia’ si sa, che è poco e di scarsa qualità. La subalternita’ agli interessi delle compagnie petrolifere è evidente, la Croazia ad esempio ha bloccato tali prospezioni e non si tratta di un gigante economico autosufficiente dal punto di vista energetico.

Accanto ad un dibattito politico nel quale si fatica ad individuare un’idea di futuro, cio’ che a tutti i livelli  sconcerta è l’assenza di progetti strategici che guardano al domani prefiggendosi cambiamenti strutturali dell’attuale asseto produttivo e dei consumi… Questo è particolarmente evidente in ambito ambientale.

In un paese che ha la zona piu’ popolosa e sviluppata del proprio territorio (la pinura Padana) con i livelli d’inquinamento dell’aria ai massimi livelli europei, si continua a cercare un petrolio che non c’é…

                       

Le scelte ambientali che hanno fatto i governi di questo ultimo decennio non si sono confrontate seriamente con questo problema, si sono firmate carte, si sono fatti proclami propagandistici, ma nel concreto si è usato il tema dell’ambiente per fare altro. Due esempi lo chiariscono: gli incentivi al fotovoltaico e quelli agli impianti a biomasse. In entrambi i casi si sono dati degli incentivi per questi impianti che remuneravano il capitale investito anche 4 volte e oltre quello che davano i BOT di allora. Il risultato è stato quello di costruire grandi impianti con materiali esteri e scaricare sulle bollette elettriche degli italiani il costo della remunerazione di tali investimenti che spesso hanno superato il 15% di resa annua. Questa non è stata una politica ambientale, ma si è usato l’ambiente come pretesto ad una speculazione finanziaria, pagata dai cittadini con costi occulti sulle loro bollette elettriche che anche quest’anno aumenteranno del 5,3% ( + 67% dal 2004).

In Italia, che ha la situazione ambientale che abbiamo visto, e che a causa della crisi ha perso il 16% della propria capacita’ produttiva e 190.000 aziende con conseguente enorme un aumento della disoccupazione, non servono leggi per poter licenziare piu’ agevolmente, servono progetti che al contempo diano risposte ai problemi ambientali ed aprano nuovi ambiti produttivi.  

Benché le esportazioni italiane si siano riavviate in modo vigoroso, spesso le nostre esportazioni, come nel caso delle guarnizioni che forniamo all’industria automobilistica tedesca, sono accessorie ad altri sistemi produttivi ed in quanto tali sostituibili. In settori rilevanti siamo ormai assenti. Un esempio puo’ rendere l’idea meglio di tante descrizioni:  da una ricerca dell’Asian Development Bank si evidenzia che un iPhone 6 – venduto a 650 dollari – ha un costo di produzione di 225 dollari. Di questi, il trentaquattro per cento dei componenti è giapponese, il diciassette tedesco, il tredici coreano ed il 4% cinese (la Cina compensa questa limitata presenza in questo prodotto con propri marchi). Si può notare che tutti i continenti eccetto quello australiano sono coinvolti e che l’Italia  è assente da questo come da altri comparti produttivi strategici.

Il campo ambientale è emblematico: i pannelli fotovoltaici sono prodotti controllati dai cinesi, dai coreani, dai giapponesi e dagli americani. Le pompe di calore piu’ affermate sono americane, giapponesi, coreane e di alcuni paesi del nord europa per piccole produzioni. I sistemi d’accumulo piu’ affermati sono americani, tedeschi e coreani. Il paradosso è rappresentato dal fatto che la nostra ricerca scientifica pur con le difficoltà che si conoscono dovute agli scarsi finanziamenti ed a un coordinamento inesistente, è tra le piu’ avanzate del mondo. Due esempi possono chiarire: una delle migliori celle a combustibile del mondo, per la trasformazione dell’idrogeno in elettricità è stata messa a punto dall’Ansaldo, ma sta ad arrugginire in un capannone. Al contempo Finmeccanica produce i migliori elicotteri da combattimento del mondo che volano di notte a 50 gradi sottozero, li vendiamo all’Arabia Saudita, ma non li usiamo per salvare quei disgraziati di Rigopiano che sono ad un ora di volo da Budrio dove sono stanziati. Il kers, che sostanzialmente è un supervolano di piccole dimensioni applicato alle vetture per aumentarne la potenza, la Ferrari lo sa produrre e usare benissimo. E’ pero’ in Irlanda, in California ed in Giappone che se ne progetta e affina l’uso per fini civili.

In sostanza noi avremmo tutte le condizioni tecnologiche e finanziarie per avviare progetti per liberarci della bolletta petrolifera di 35 miliardi annui entro alcuni decenni e aprire nuovi ambiti produttivi come nel campo degli accumulatori energetici, purtroppo non lo facciamo.

Chi ci impedisce di fare come all’isola di Kvai alle Hawaii, dove hanno costruito un impianto da 14 MW ed un sistema di accumulo che ha reso l’isola autosufficiente dal punto di vista energetico e libera dal petrolio?

A Pantelleria, Lipari, Favignana, Lampedusa ecc.. invece di mandare petroliere per assicurare l’elettricità non potremmo fare in modo analogo? E l’IKEA di Parma riscaldato e raffrescato solo con il geotermico, non potrebbe essere l’esempio da seguire  per l’adeguamento dei nostri edifici pubblici tanto per cominciare?

E i kers che noi sappiamo costruire come i tedeschi non potrebbero essere trasformati in accumulatori di grandi dimensioni e domestici per usarli in Italia e venderli in giro per il mondo? I nostri poli tecnologici fanno tutti quasi le stesse cose, perché non specializzarne uno in questa direzione?

Non ci vorrebbe molto, i soldi ci sono gia’, basta toglierli agli incentivi alle industrie petrolifere e smetterla di dare dei bonus cervellotici. Ed un progetto ventennale per la Pianura Padana perché no?

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