..Stare bene tipo sdraiati sull'erba......

Ha incantato tutti, sbattendo in faccia non solo ai presenti all’Ariston ma ad oltre mezza Italia seduta comodamente sul divano il dramma dei migranti. Il monologo di Pier Francesco Favino tratto da “La notte prima della foresta” di Bernard Marie Koltès parla di un uomo che descrive la condizione di chi deve solo subire, sempre e comunque, anche solo per volersi sdraiare sull’erba. Una storia di estraneità ed esclusione, un dramma che quotidianamente, e da tanto tempo, stanno vivendo molte persone.

Un testo assolutamente attuale, politico, in cui essere stranieri, significa essere soli.
Grazie quindi a Favino per averlo portato sul palco del Festival di Sanremo abituato da 68 anni a lusso e lustrini.

Per evitare che questo momento venga troppo presto archiviato, ma soprattutto perché è storia che riguarda tutti noi, il bisogno dello stare insieme, leggiamolo attentamente oggi, facciamone tesoro……

 “Bisognerebbe stare dall’altra parte senza nessuno intorno, amico mio

quando mi viene di dirti quello che ti devo dire, stare bene tipo sdraiati sull’erba, una cosa così

che uno non si deve più muovere con l’ombra degli alberi.

Allora ti direi: ‘qua ci sto bene, qua è casa mia, mi sdraio e ti saluto’.

Ma qua, amico mio, è impossibile, mai visto un posto dove ti lasciano in pace e ti salutano.

Ti dobbiamo mandare via, ti dicono, vai là, tu vai là

vai laggiù, leva il culo da là

e tu ti fai la valigia, il lavoro sta da un’altra parte,

sempre da un’altra parte che te lo devi andare a cercare,

non c’è il tempo per sdraiarsi e per lasciarsi andare, non c’è

il tempo per spiegarsi e dirsi ‘ti saluto’.

A calci in culo ti manderebbero via, il lavoro sta là, sempre più lontano, fino in Nicaragua.

Se vuoi lavorare, ti devi spostare, mai che puoi dire ‘questa è casa mia e ti saluto’

tanto che io quando lascio un posto ho sempre l’impressione che quello sarà casa mia,

sempre di più di quello in cui vado a stare.

Quando ti prendono a calci in culo di nuovo, tu te ne vai di nuovo

là dove te ne vai sei sempre più straniero, sempre meno a casa tua.

E quando ti prendono a calci in culo, tu te ne vai di nuovo

quando ti giri a guardarti indietro, amico, è sempre il deserto.

Fermiamoci una buona volta e diciamo ‘Andate a fanculo’

io non mi sposto più, voi mi dovete stare a sentire

se ci sdraiamo una buona volta sull’erba e ci prendiamo tutto il tempo

che tu racconti la tua storia, quelli venuti dal Nicaragua

che ci diciamo che siamo tutti, più o meno stranieri

ma che adesso basta, stiamo a sentire, tranquilli, tutto quello che ci dobbiamo dire

allora sì che capisci che a loro non gliene frega un cazzo di noi.

Io mi sono fermato, ho ascoltato, mi sono detto: ‘Io non lavoro più’

finché non ve ne frega un cazzo di me.

A che serve che quello del Nicaragua viene fino qua e che io vado a finire laggiù

se da tutte le parti la stessa storia.

Quando ho lavorato ancora, ho parlato a tutti quelli presi a calci in culo che sbarcano qua

per trovare lavoro e loro mi sono stati a sentire.

Io sono stato a sentire quelli del Nicaragua che mi hanno spiegato com’è da loro

Laggiù c’è un vecchio generale, che sta tutto il giorno e tutta la notta al bordo di una foresta

gli portano da mangiare perché non si deve spostare

che spara su tutto quello che si muove

gli portano le munizioni quando non ce ne ha più.

Mi parlavano di un generale coi suoi soldati che circondano la foresta

tutto quello che si muove diventa un bersaglio

tutto quello che compare al bordo della foresta

tutto quello che notano che non c’ha lo stesso colore degli alberi

e che non si muove allo stesso modo

Io sono stato a sentire tutto questo e mi sono detto che da tutte le parti è la stessa cosa

più mi faccio prendere a calci in culo e più sarò straniero

loro finiscono qua e io finirò laggiù

laggiù dove tutto quello che si muove sta nascosto nelle montagne

Io ho ascoltato tutto questo e mi sono detto: “Io non mi muovo più, se non c’è lavoro non lavoro

se il lavoro mi deve far diventare matto e mi devono prendere a calci in culo, io non lavoro più

Io voglio sdraiarmi, una buona volta, voglio spiegarmi, voglio l’erba

l’ombra degli alberi, voglio urlare, voglio poter urlare, anche se poi mi sparano addosso.

Tanto è quello che fanno. Se non sei d’accordo, se apri la bocca,

ti devi nascondere in fondo alla foresta. Ma allora meglio così

almeno ti avrò detto quello che ti devo dire.”

(la foto è una scultura di bronzo di Mauro Catalano)

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