"Da Mario": per chi vuole tornare a respirare l'aria delle osterie bolognesi.

“… sono ancora aperte come un tempo le osterie di fuori porta,
ma la gente che ci andava a bere fuori o dentro è tutta morta
qualcuno è andato per età, qualcuno perché già dottore
e insegue una maturità, si è sposato, fa carriera ed è una morte un po' peggiore …


… qualcuno è andato per formarsi, chi per seguire la ragione,

chi perché stanco di giocare, bere il vino, sputtanarsi ed è una morte un po' peggiore …”

 

Così (negli anni in  cui Bologna era Bologna e tutto era più umano, ovattato, piacevole) cantava Francesco Guccini contribuendo a creare il mito della Bologna città delle osterie, del buon vivere e dei biassanot. Di quei tempi, adesso, ben poco è rimasto. In realtà, le vecchie osterie, alcune, ci sono ancora. Ma se davvero la gente che ci andava non c’è più, non è più quella, sono proprio loro, le osterie nella loro essenza e nelle proposte che vengono proposte ad essere cambiate, a non essere più quelle, sull’onda lunga di una moda globalizzante ed appiattente nella sua omologante ripetitività che tutto riduce a mero rimasticamento senza che nulla si elevi a proposizione di novità e/o non allineamento (ricordo ad esempio, e sto parlando di quello che per lunghi, piacevoli anni è stato il locale di riferimento in una Bologna che si stava svegliando, secondo alcuni, cercando di raggiungere i ne-fasti della MilanoDaBere, l’IndeLePalais della gestione di Michele D’Oria, di averci portato un amico, uomo di grande ironia e possibilità, ampie vedute, un vero bon vivant esempio di internazionalismo colto e curioso, case in Canada, Parigi e NewYork, fabbrichetta nel nordest e filiali e succursali  in mezza Europa, e di avere ascoltato i suoi complimenti al succitato lounge che, a suo dire e per personale esperienza, non avrebbe sfigurato a Miami come a Londra come a Dubai. Sul momento non ci feci caso, anzi fui felice per quello che, Michele, era e rimane un amico. Ma qualcosa sarebbe dovuto scattare nella mia testa, una sorta di avvertimento su come, e quanto, le cose sarebbero mutate. In fretta ed ineluttabilmente). Adesso, sentire pronunciare parole come SpritzAperol, SpritzCampari, mix-BarTender, Beverage Manager, drink cost, aperitivo food cost, mixology (per carità, tutte terminologie che, soprattutto per chi ama tirar tardi sono ormai, più per moda e comodità che per reale necessità, diventate di uso e sentire comune) in quelli che un tempo erano i templi della socialità regala un senso di straniamento diffuso.

Dopo questa premessa, non aspettatevi chissà che, tipo macchina del tempo, se andrete da “Mario” in via SanFelice 137, nella parte di strada che va da RivaReno alla porta. Anzi, chi conosceva e magari amava quella conosciuta come l’Osteria di quello che non sopporta le donne, potrebbe non riconoscercisi. Del buio buissimo, infatti, che era la cifra caratterizzante del locale, così come le cataste di cartoni e cassette di vino e liquori, il fumo basso e denso, il bancone sulla sinistra appena entrati dietro il quale torreggiava per personalità il vecchio Mario, non è rimasto nulla. Eppure un senso, un segno del tempo che fu, sì, quello permane: perché Michele Mazzacurati (il nuovo oste proveniente da esperienze assai diverse, ed almeno all’inizio della sua avventura questa per certi versi improvvisazione si avvertiva) ha avuto il grande merito di recuperare tutti gli arredi, le bellissime lampade in vetro di Murano, le affiches e i quadri, gli ammennicoli e le suppellettili esistenti come la particolare vetrata a vetro impiombato e di riuscire con gusto e capacità a regalare una nuova vita, moderna ma antica al tempo stesso, contemporanea ma con quel tocco vintage che fa tanto elegante e ricercato senza essere stucchevole, ad uno dei veri simboli e ricordi della vecchia Bologna. Che poi la proposta di cibo non sia particolarmente stimolante, i ricarichi sui vini siano relativamente elevati, che il servizio sia a tratti un po’ andante, non importa. Godiamoci, godetevi, questo spicchio di bolognesità. E teniamocela ben stretta questa piccola, minuscola enclave di resistenza che ancora resiste.

 

Stefano Righini

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