La Bolognina è un quartiere meraviglioso. Interetnico, tribale, multiculturale. Certo, abitarci, viverlo nella sua interezza facendone convivere le diverse anime e doversi confrontare quotidianamente con un altro da sé, ammetto possa essere a volte difficile. Ma è la vitalità stessa del quartiere ad aiutare questa sorta di immersione totalizzante in una Bologna diversa da quella stereotipa cui siamo abituati e che alberga nell’immaginario collettivo.
Immaginate, chi ha avuto la fortuna di viverla, una sorta di piccola Parigi all’inizio degli anni ’70, quando, salendo dai meandri del metro in Place d’Italie ti ritrovavi proiettato come per incanto in un suk mediorientale o nel bel mezzo di un mercato berbero e piratesco di spezie e tessuti e frutta tropicale. Non certo la edulcoratamente visionaria Belleville di Pennac, ma un quartiere vivo, vero, anche duro. La Place d’Italie d’allora, la Bolognina di adesso. Un quartiere dove scendendo verso Corticella, per quello che possono contare le distinzioni in questa città nella città che ha fatto della fusion la propria essenza di vita, trovi sulla sinistra rimandi e ricordi alla grande madre Africa e sulla destra la nuova chinatown. Ma mai classificazioni, inquadramenti, divisioni sono state fallaci come questa. Perché qui è fusione, commistione, difficile integrazione la parola d’ordine. Capita allora di trovare fianco a fianco il negozio di sfogline “LaBolognina” di via DiVincenzo (tra l’altro, in pieno periodo natalizio merita dirlo, tortellini tra i migliori della città) e negozi che paiono bazar e che vendono prodotti per capelli in fantasmagoriche confezioni dai colori dell’arcobaleno per principesse nubiane dagli sgargianti caffetani che incedono con passo elegante mentre scultorei nuba masticano qualcosa che nessuno potrebbe stupirsi se scoprisse essere foglie di qat. D’altronde basta poco, allontanarsi un centinaio di metri ed attraversare la strada, via di Corticella, per trovare, volendolo, un ristorante, più ristoranti, che sembrano usciti dritti dritti da una location di John Woo; ristoranti dove, nel parcheggio, l’auto più tranquilla è una Camaro Chevrolet e al cui interno nessuno, dico nessuno, parla italiano, i menù sono in cinese e davvero tu entri in questa enorme sala illuminata a giorno da neon che sembrano essere stati inventati per fare luce sulla notte più nera e ti siedi su di una poltroncina rivestita di raso blu con un’enorme fiocco giallo proprio sotto i palloncini che recitano uno sciocco e scontato e stranito HappyBirthday e ti assicuri di avere le spalle al muro, lo sguardo sulla porta e la mano all’interno della giacca sulla Heckler&Cock Compact .40 (sto scherzando, naturalmente, ma non poi così tanto) perché tanto lo sai, tra poco o tra molto, entreranno da quella porta un paio di bodyguard vestiti come le iene in un film di Tarantino e, dopo che questi si saranno assicurati che tutto vada bene, farà il suo ingresso questo signore orientale, elegante e discreto che si farà accompagnare nel separé giù in fondo, sulla destra.
La Bolognina, allora. Che a parte le suggestioni, i tentativi di racconto, le battute e le estremizzazioni, rimane, se non il, uno dei cuori pulsanti di questa Bologna malinconicamente avviata a diventare solo da mangiare. Attenzione, però; c’è mangiare e mangiare e c’è bere e bere. E visto che a noi, soprattutto il bere, interessa parecchio, non possiamo far passare sotto silenzio l’apertura, negli spazi dell’antico mercato di Via Albani (uno spazio che nei desiderata dell’amministrazione comunale dovrà, dovrebbe, diventare una nuova sintesi di socialità e rivitalizzazione per una zona troppo spesso marginalizzata nell’immaginario quotidiano) di “Sbando”, un progetto di Fabio Giavedoni, nome importante e portante del mondo vinicolo e di tutto quello che attorno ad esso ruota (prima creatore di locali e winebar, quando ancora né il termine né l’idea erano inflazionati, che hanno fatto la storia, piccola fin che si vuole ma sempre storia, del bere bene a Bologna ed ora, tra le altre cose, curatore di Slowine e della “Guida ai Vitigni d’Italia”). Naturalmente, un simile progetto non poteva accontentarsi della riproposizione di stanchi cliché seppur rivisitati. E quindi “… la formula dell’aperitivo serale da Sbando differisce dalla tradizione bolognese o milanese, dove il bicchiere di vino costa parecchio e ci si può servire gratuitamente dal buffet di cibo più o meno edibile. Da noi il vino costa poco ma si pagano, se uno vuole stuzzicare l’appetito, i cicheti - come nella tradizione dei bacari veneziani, o dei locali da tapas spagnoli …”. Un esempio? La sera che l’abbiamo provato (dopo essere stati ospiti della vivace inaugurazione del 30 novembre) dietro il bancone c’era Francesca una delle socie del locale, il piccolo menù comprendeva tra le tapas o cicheti baccalà mantecato, caponatina siciliana, friggitelli e gorgonzola, storione fumè e panna acida, gorgonzola e crema di broccoli e piccola degustazione di formaggi (tutti a 1 euro) mentre tra i piatti diciamo così forti, si poteva scegliere tra zuppetta di pesce fresco con verdure e crostini, seppie polipo e patate, panino al carbone con spalla cotta e kren o panino ai grani antichi con polpettine di lenticchie, yogurt alla senape e insalatina (con prezzi compresi tra i 5 e i 6 euro). Detto che la scelta al bicchiere dei vini (esiste comunque una carta di buona rilevanza) è, come si conviene, varia ma che più ancora presenta scelte decisamente interessanti, e comprende una dozzina abbondante di etichette suddivise tra bianchi rossi bolle e, novità praticamente introvabile altrove, macerati (bevuta un’ottima Vitovska di Skerk) con prezzi compresi tra i 3 ed i 6 euro e che c’è la possibilità di scegliere tra una piccola ma qualitativamente buona varietà di birre artigianali, non rimane che rimandare ai WikiWine (l’aperitivo guidato, o piccole degustazioni mirate e guidate, tenuto dallo stesso Fabio a prezzi variabili tra i 12 ed i 14 euro) che si alterneranno il lunedì ed il martedì (una mezz’ora di chiacchiere su vitigni e terroire particolari con relativo assaggio di 4 diverse tipologie del vino trattato) e che per ora prevedono i seguenti appuntamenti: lunedì 18 dicembre i Territori del Nebbiolo, martedì 19 la Ribolla Gialla, lunedì 8 gennaio il Negramaro, martedì 9 l’Etna, lunedì 15 il Friulano (il mai abbastanza rimpianto Tocai o, come lo chiamano quelli della cantina Radikon lo Jakot), martedì 16 il Sangiovese in Toscana, lunedì 22 il PinotNero, martedì 23 i Vini del Carso, lunedì 29 il Riesling e martedì 30 il Franciacorta.
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Immaginate, chi ha avuto la fortuna di viverla, una sorta di piccola Parigi all’inizio degli anni ’70, quando, salendo dai meandri del metro in Place d’Italie ti ritrovavi proiettato come per incanto in un suk mediorientale o nel bel mezzo di un mercato berbero e piratesco di spezie e tessuti e frutta tropicale. Non certo la edulcoratamente visionaria Belleville di Pennac, ma un quartiere vivo, vero, anche duro. La Place d’Italie d’allora, la Bolognina di adesso. Un quartiere dove scendendo verso Corticella, per quello che possono contare le distinzioni in questa città nella città che ha fatto della fusion la propria essenza di vita, trovi sulla sinistra rimandi e ricordi alla grande madre Africa e sulla destra la nuova chinatown. Ma mai classificazioni, inquadramenti, divisioni sono state fallaci come questa. Perché qui è fusione, commistione, difficile integrazione la parola d’ordine. Capita allora di trovare fianco a fianco il negozio di sfogline “LaBolognina” di via DiVincenzo (tra l’altro, in pieno periodo natalizio merita dirlo, tortellini tra i migliori della città) e negozi che paiono bazar e che vendono prodotti per capelli in fantasmagoriche confezioni dai colori dell’arcobaleno per principesse nubiane dagli sgargianti caffetani che incedono con passo elegante mentre scultorei nuba masticano qualcosa che nessuno potrebbe stupirsi se scoprisse essere foglie di qat. D’altronde basta poco, allontanarsi un centinaio di metri ed attraversare la strada, via di Corticella, per trovare, volendolo, un ristorante, più ristoranti, che sembrano usciti dritti dritti da una location di John Woo; ristoranti dove, nel parcheggio, l’auto più tranquilla è una Camaro Chevrolet e al cui interno nessuno, dico nessuno, parla italiano, i menù sono in cinese e davvero tu entri in questa enorme sala illuminata a giorno da neon che sembrano essere stati inventati per fare luce sulla notte più nera e ti siedi su di una poltroncina rivestita di raso blu con un’enorme fiocco giallo proprio sotto i palloncini che recitano uno sciocco e scontato e stranito HappyBirthday e ti assicuri di avere le spalle al muro, lo sguardo sulla porta e la mano all’interno della giacca sulla Heckler&Cock Compact .40 (sto scherzando, naturalmente, ma non poi così tanto) perché tanto lo sai, tra poco o tra molto, entreranno da quella porta un paio di bodyguard vestiti come le iene in un film di Tarantino e, dopo che questi si saranno assicurati che tutto vada bene, farà il suo ingresso questo signore orientale, elegante e discreto che si farà accompagnare nel separé giù in fondo, sulla destra.
La Bolognina, allora. Che a parte le suggestioni, i tentativi di racconto, le battute e le estremizzazioni, rimane, se non il, uno dei cuori pulsanti di questa Bologna malinconicamente avviata a diventare solo da mangiare. Attenzione, però; c’è mangiare e mangiare e c’è bere e bere. E visto che a noi, soprattutto il bere, interessa parecchio, non possiamo far passare sotto silenzio l’apertura, negli spazi dell’antico mercato di Via Albani (uno spazio che nei desiderata dell’amministrazione comunale dovrà, dovrebbe, diventare una nuova sintesi di socialità e rivitalizzazione per una zona troppo spesso marginalizzata nell’immaginario quotidiano) di “Sbando”, un progetto di Fabio Giavedoni, nome importante e portante del mondo vinicolo e di tutto quello che attorno ad esso ruota (prima creatore di locali e winebar, quando ancora né il termine né l’idea erano inflazionati, che hanno fatto la storia, piccola fin che si vuole ma sempre storia, del bere bene a Bologna ed ora, tra le altre cose, curatore di Slowine e della “Guida ai Vitigni d’Italia”). Naturalmente, un simile progetto non poteva accontentarsi della riproposizione di stanchi cliché seppur rivisitati. E quindi “… la formula dell’aperitivo serale da Sbando differisce dalla tradizione bolognese o milanese, dove il bicchiere di vino costa parecchio e ci si può servire gratuitamente dal buffet di cibo più o meno edibile. Da noi il vino costa poco ma si pagano, se uno vuole stuzzicare l’appetito, i cicheti - come nella tradizione dei bacari veneziani, o dei locali da tapas spagnoli …”. Un esempio? La sera che l’abbiamo provato (dopo essere stati ospiti della vivace inaugurazione del 30 novembre) dietro il bancone c’era Francesca una delle socie del locale, il piccolo menù comprendeva tra le tapas o cicheti baccalà mantecato, caponatina siciliana, friggitelli e gorgonzola, storione fumè e panna acida, gorgonzola e crema di broccoli e piccola degustazione di formaggi (tutti a 1 euro) mentre tra i piatti diciamo così forti, si poteva scegliere tra zuppetta di pesce fresco con verdure e crostini, seppie polipo e patate, panino al carbone con spalla cotta e kren o panino ai grani antichi con polpettine di lenticchie, yogurt alla senape e insalatina (con prezzi compresi tra i 5 e i 6 euro). Detto che la scelta al bicchiere dei vini (esiste comunque una carta di buona rilevanza) è, come si conviene, varia ma che più ancora presenta scelte decisamente interessanti, e comprende una dozzina abbondante di etichette suddivise tra bianchi rossi bolle e, novità praticamente introvabile altrove, macerati (bevuta un’ottima Vitovska di Skerk) con prezzi compresi tra i 3 ed i 6 euro e che c’è la possibilità di scegliere tra una piccola ma qualitativamente buona varietà di birre artigianali, non rimane che rimandare ai WikiWine (l’aperitivo guidato, o piccole degustazioni mirate e guidate, tenuto dallo stesso Fabio a prezzi variabili tra i 12 ed i 14 euro) che si alterneranno il lunedì ed il martedì (una mezz’ora di chiacchiere su vitigni e terroire particolari con relativo assaggio di 4 diverse tipologie del vino trattato) e che per ora prevedono i seguenti appuntamenti: lunedì 18 dicembre i Territori del Nebbiolo, martedì 19 la Ribolla Gialla, lunedì 8 gennaio il Negramaro, martedì 9 l’Etna, lunedì 15 il Friulano (il mai abbastanza rimpianto Tocai o, come lo chiamano quelli della cantina Radikon lo Jakot), martedì 16 il Sangiovese in Toscana, lunedì 22 il PinotNero, martedì 23 i Vini del Carso, lunedì 29 il Riesling e martedì 30 il Franciacorta.
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