Un altro salto in libreria per suggerire altri titoli che faranno più bello il Vostro Natale.
Tom Hanks non è solo il meraviglioso attore che da corpo al personaggio del capitano JohnH.Miller in “Salvate il soldato Ryan” o il tenero, commovente Forrest Gump del film omonimo; e nemmeno il dolente killer solitario, Michael Sullivan, di “Era mio padre” né lo stralunato professor G.H.Dorr di “Ladykillers” e nemmeno il picaresco Viktor Navorsky de “The terminal”. Si potrebbe, naturalmente continuare all’infinito (o quasi), con il Robert Langdon della serie tratta dai libri di Dan Brown “Il codice da Vinci”, “Angeli e demoni” e “Inferno” o il grigio, spento ma determinato James Donovan de “Il ponte delle spie” o il naufrago Chuck Noland di “Cast away” o il determinato e combattivo avvocato Andrew Beckett di “Philadelphia”. E non è nemmeno, o solo il produttore, il regista e lo sceneggiatore di “Polar express” o “Band of brothers” o “Il mio grosso grasso matrimonio greco”. Tom hanks è anche l’autore di questo “Tipi non comuni”, scritto con una vecchia macchina da scrivere della sua collezione (così dice la leggenda e si sa, quando a Hollywood, come nel vecchio west, la leggenda incontra la realtà, è la leggenda che vince) per rispondere ad una semplice ma basilare domanda: cosa rimane dell’America? La risposta è in questi diciassette racconti, piccole storie di amarezze ed ambizioni, di fatiche e desideri e di tanta, a volte liberatoria, a volte inconsapevole, comicità.
“Souvenir” dopo “Buio”, “Gelo”, “Cuccioli”, “Pane” è il quinto capitolo della saga dei Bastardi di Pizzofalcone di Maurizio de Giovanni. È un romanzo nostalgico, malinconico ma di una nostalgia ed una malinconia quasi piacevoli, in cui è facile rifugiarsi e perdersi grazie ad un tempo, ottobre, ancora indeciso; un giorno fa caldo, quello dopo il freddo e l'umidità ridestano la gente dall'illusione di una vacanza perenne e la riportano alla realtà e ad un incontro (quello con una vecchia diva hollywoodiana che abita a Sorrento: “… dicono sia meglio vivere di rimorsi che di rimpianti. Non è vero. Lo dicono quelli che fanno del male. Per due come noi, Mimí e io, restano solo i rimpianti, perché sono quelli che ci fanno sognare come sarebbe andata la vita se avessimo compiuto scelte diverse …”.
Sembra un romanzo d’avventura, o un diario ritrovato nei bauli di Pieve Santo Stefano o ancora la sceneggiatura di un film, un bel film neorealista degli anni ’60. E invece questo “Pietro Ingrao, mio fratello”, è un ritratto di famiglia, quasi fosse un album di fotografie in bianco e nero che si tingono gradualmente di colori. Un romanzo a più volti che a più voci racconta, oscillando tra memorie e tempo presente, la vita di un uomo, Pietro Ingrao, lunga, la vita, un secolo. Conosceremo così la sua infanzia nell’antica casa di Lenola, la frequentazione del Centro sperimentale di cinematografia, la poesia e ancora l’avvento del fascismo, la guerra, la Resistenza e l’Italia repubblicana. E nella sua storia, si compendierà la storia di ognuno di noi, la Storia del nostro paese. Con le istantanee in B/N che compongono l’album che si dipingono di rosso, il colore della sua passione politica, di una militanza scomoda, tormentata, segnata da conflitti e incertezze, da onestà e coraggio.
Roberto Costantini è ingegnere e docente alla Luiss Guido Carli di Roma. Ed è nato a Tripoli ad inizio anni ’50. Il fatto che sia nato in Libia è fondamentale nei suoi romanzi. Perché, oltre a narrare con dati di fatto difficilmente confutabili (sebbene romanzati) una pagina sconosciuta, volutamente, della storia patria (una storia che inizia con la conquista imperiale del 1922 per proseguire con la nazionalizzazione gheddafiana del 1973 a seguito del colpo di stato di 3 anni prima per finire con l’abiura da parte del colonnello ormai generale di una nazione considerata non più amica del 1986) è la patria d’origine (di nascita e di convinzioni etiche e personali) del suo personaggio principe, il commissario Michele “Mike” Balistreri, uno dei personaggi più interessanti, veri, romantico e vero figlio di puttana, malinconico e tenerissimo macho. Un perdente, dunque, ma un perdente di cui è impossibile non innamorarsi. Nonostante il suo fascismo di fondo. Nonostante il suo cinismo disturbante e disturbato. Nonostante, o forse proprio per questo, la sua umanità. Leggetelo, Balistreri, nella cosiddetta trilogia del male (“Tu sei il male”, “Alle radici del male”, “Il male non dimentica”) e magari tralasciate, per ora, l’ultima puntata della saga “La moglie perfetta”. Concentrandovi magari su “Ballando nel buio” appena uscito in libreria che si propone come il punto di sutura, o congiunzione, tra il passato tripolitino da apache metropolitano dell’adolescente Mike e la presa di coscienza romana dell’ormai ventenne Michele.
La fama di Giorgio Scerbanenco (nato a Kiev, vissuto in Italia, generalmente conosciuto come creatore della “Milano calibro nove” dal titolo di un suo fortunatissimo romanzo noir), volutamente circoscritta da una critica cieca e infingarda al genere (poliziesco, giallo, noir), non fa giustizia a quello che fu indubbiamente uno dei più importanti scrittori italiani del ‘900. Scrisse infatti un numero immenso di romanzi e racconti di tutti i generi. Fortunatamente per chi non lo conoscesse (pochissimi, spero) Sellerio presenta in questi giorni due sue raccolte di racconti. Una, “Nebbia sul Naviglio e altri racconti gialli e neri”, compendia una ventina di racconti pubblicati su giornali e riviste tra il 1936 e il 1948 e mai apparsi in volume che testimoniano le diverse “fasi” dello scrittore (a partire dalle fulminanti gangster stories in puro stile hardboiled quasi fossero soggetti per un film di Abel Ferrara o Quentin Tarantino degli anni ’30 per arrivare alle cronache della periferia milanese del dopoguerra) mentre il secondo “Uomini ragno” raccoglie quattro racconti pubblicati nel 1946 e ambientati negli anni feroci, tra il 1936 e il 1944: storie di tedeschi e di partigiani, di coraggio e tradimenti, storie vere o comunque attinte dalla realtà. Un’ottima occasione, davvero, per avvicinarsi ad uno scrittore che tutti dovrebbero conoscere.
Tom Hanks non è solo il meraviglioso attore che da corpo al personaggio del capitano JohnH.Miller in “Salvate il soldato Ryan” o il tenero, commovente Forrest Gump del film omonimo; e nemmeno il dolente killer solitario, Michael Sullivan, di “Era mio padre” né lo stralunato professor G.H.Dorr di “Ladykillers” e nemmeno il picaresco Viktor Navorsky de “The terminal”. Si potrebbe, naturalmente continuare all’infinito (o quasi), con il Robert Langdon della serie tratta dai libri di Dan Brown “Il codice da Vinci”, “Angeli e demoni” e “Inferno” o il grigio, spento ma determinato James Donovan de “Il ponte delle spie” o il naufrago Chuck Noland di “Cast away” o il determinato e combattivo avvocato Andrew Beckett di “Philadelphia”. E non è nemmeno, o solo il produttore, il regista e lo sceneggiatore di “Polar express” o “Band of brothers” o “Il mio grosso grasso matrimonio greco”. Tom hanks è anche l’autore di questo “Tipi non comuni”, scritto con una vecchia macchina da scrivere della sua collezione (così dice la leggenda e si sa, quando a Hollywood, come nel vecchio west, la leggenda incontra la realtà, è la leggenda che vince) per rispondere ad una semplice ma basilare domanda: cosa rimane dell’America? La risposta è in questi diciassette racconti, piccole storie di amarezze ed ambizioni, di fatiche e desideri e di tanta, a volte liberatoria, a volte inconsapevole, comicità.
“Souvenir” dopo “Buio”, “Gelo”, “Cuccioli”, “Pane” è il quinto capitolo della saga dei Bastardi di Pizzofalcone di Maurizio de Giovanni. È un romanzo nostalgico, malinconico ma di una nostalgia ed una malinconia quasi piacevoli, in cui è facile rifugiarsi e perdersi grazie ad un tempo, ottobre, ancora indeciso; un giorno fa caldo, quello dopo il freddo e l'umidità ridestano la gente dall'illusione di una vacanza perenne e la riportano alla realtà e ad un incontro (quello con una vecchia diva hollywoodiana che abita a Sorrento: “… dicono sia meglio vivere di rimorsi che di rimpianti. Non è vero. Lo dicono quelli che fanno del male. Per due come noi, Mimí e io, restano solo i rimpianti, perché sono quelli che ci fanno sognare come sarebbe andata la vita se avessimo compiuto scelte diverse …”.
Sembra un romanzo d’avventura, o un diario ritrovato nei bauli di Pieve Santo Stefano o ancora la sceneggiatura di un film, un bel film neorealista degli anni ’60. E invece questo “Pietro Ingrao, mio fratello”, è un ritratto di famiglia, quasi fosse un album di fotografie in bianco e nero che si tingono gradualmente di colori. Un romanzo a più volti che a più voci racconta, oscillando tra memorie e tempo presente, la vita di un uomo, Pietro Ingrao, lunga, la vita, un secolo. Conosceremo così la sua infanzia nell’antica casa di Lenola, la frequentazione del Centro sperimentale di cinematografia, la poesia e ancora l’avvento del fascismo, la guerra, la Resistenza e l’Italia repubblicana. E nella sua storia, si compendierà la storia di ognuno di noi, la Storia del nostro paese. Con le istantanee in B/N che compongono l’album che si dipingono di rosso, il colore della sua passione politica, di una militanza scomoda, tormentata, segnata da conflitti e incertezze, da onestà e coraggio.
Roberto Costantini è ingegnere e docente alla Luiss Guido Carli di Roma. Ed è nato a Tripoli ad inizio anni ’50. Il fatto che sia nato in Libia è fondamentale nei suoi romanzi. Perché, oltre a narrare con dati di fatto difficilmente confutabili (sebbene romanzati) una pagina sconosciuta, volutamente, della storia patria (una storia che inizia con la conquista imperiale del 1922 per proseguire con la nazionalizzazione gheddafiana del 1973 a seguito del colpo di stato di 3 anni prima per finire con l’abiura da parte del colonnello ormai generale di una nazione considerata non più amica del 1986) è la patria d’origine (di nascita e di convinzioni etiche e personali) del suo personaggio principe, il commissario Michele “Mike” Balistreri, uno dei personaggi più interessanti, veri, romantico e vero figlio di puttana, malinconico e tenerissimo macho. Un perdente, dunque, ma un perdente di cui è impossibile non innamorarsi. Nonostante il suo fascismo di fondo. Nonostante il suo cinismo disturbante e disturbato. Nonostante, o forse proprio per questo, la sua umanità. Leggetelo, Balistreri, nella cosiddetta trilogia del male (“Tu sei il male”, “Alle radici del male”, “Il male non dimentica”) e magari tralasciate, per ora, l’ultima puntata della saga “La moglie perfetta”. Concentrandovi magari su “Ballando nel buio” appena uscito in libreria che si propone come il punto di sutura, o congiunzione, tra il passato tripolitino da apache metropolitano dell’adolescente Mike e la presa di coscienza romana dell’ormai ventenne Michele.
La fama di Giorgio Scerbanenco (nato a Kiev, vissuto in Italia, generalmente conosciuto come creatore della “Milano calibro nove” dal titolo di un suo fortunatissimo romanzo noir), volutamente circoscritta da una critica cieca e infingarda al genere (poliziesco, giallo, noir), non fa giustizia a quello che fu indubbiamente uno dei più importanti scrittori italiani del ‘900. Scrisse infatti un numero immenso di romanzi e racconti di tutti i generi. Fortunatamente per chi non lo conoscesse (pochissimi, spero) Sellerio presenta in questi giorni due sue raccolte di racconti. Una, “Nebbia sul Naviglio e altri racconti gialli e neri”, compendia una ventina di racconti pubblicati su giornali e riviste tra il 1936 e il 1948 e mai apparsi in volume che testimoniano le diverse “fasi” dello scrittore (a partire dalle fulminanti gangster stories in puro stile hardboiled quasi fossero soggetti per un film di Abel Ferrara o Quentin Tarantino degli anni ’30 per arrivare alle cronache della periferia milanese del dopoguerra) mentre il secondo “Uomini ragno” raccoglie quattro racconti pubblicati nel 1946 e ambientati negli anni feroci, tra il 1936 e il 1944: storie di tedeschi e di partigiani, di coraggio e tradimenti, storie vere o comunque attinte dalla realtà. Un’ottima occasione, davvero, per avvicinarsi ad uno scrittore che tutti dovrebbero conoscere.
Commenti
Posta un commento