Quando Bologna, molto prima di Milano, era una città da bere, quando i biassanot (letteralmente, colui che biascica, il biascicatore delle notti bolognesi, il tiratardi che girovagando per osterie tutta la notte rimanda il più possibile il momento di “andare al cinema Bianchetti”, ossia, altra perla gergale, andare tra le lenzuola) oltre le tanto decantate, giustamente, osterie di dentro e fuori porta, la notte dei viveur era costellata di fermate nei tanti american bar che aprivano le proprie porte a chi proprio non aveva voglia di finire ancora la giornata.
Lo dico subito: un po’ per età, un po’ perché tornato a Bologna quando ormai l’era gloriosa degli american bar (e delle sottostanti tavernette, sogno proibito di tutti gli adolescenti dell’epoca che immaginavano chissà quali paradisi di piaceri perversi) era al tramonto, non ho potuto, appunto, vivere quelle emozioni. Un paio di questi locali, però, li ho visti, passandoci davanti, più volte immaginando, anch’io, chissà quali avventure mi venissero negate. Uno, il TioPepe, poi diventato Woodpecker (ma la memoria non aiuta, forse era prima Woodpecker e poi TioPepe) ed infine Cabala di Strada Maggiore, era il regno incontrastato di Giorgio Guida (esatto, proprio lui, il papà della mitica Gloria delle nostre infanzie brufolose), un monumento, un barman che lavorava all’Hotel Gran Bretagna di Bellagio sul lago di Como (ebbene sì, Bellagio dove tiene casa un altro famosissimo Giorgio, o George, Clooney, naturalmente) e all’Hotel Dolomiti di San Martino di Castrozza, da Zanarini quando Zanarini era Zanarini (da qualche anno, grazie ad un altro grandissimo professionista, Michele Doria, fortunatamente Zanarini sta tornando ad essere quell’espressione del buon bere e del buon vivere che la città merita) e all’Hotel Bauer Baviera di Merano e poi in tutti i più importanti circoli e club cittadini: il Central Club, il Jolly Joker Club, il Giampy Bar, ma soprattutto un barman che vinse il mondiale I.B.A. del 1976 con un pre-dinner cocktail (che mi piace raccontare, anche se non soprattutto, per evidenziare le differenze tra i gusti di 40 anni fa e quelli odierni: 1/4 Whiskey Oldcrown, 1/4 Royal Stock Brandy, 1/8 DiSaronno 1/4 Campari 1/8 Carpano White Special Vermouth guarnito con cocktail cherry e lemon peel e servito in un cocktail glass, la banale coppetta da Martini). L’altro imprescindibile luogo di perdizione dentro il quale si lanciava sempre un’occhiata passando sperando di cogliere una fugace visione di quel mondo parallelo a noi giovincelli vietato, era il Rivoli Café in via dell’Orso 5 (il ricordo, più che su audaci scollature, vertiginose minigonne e sorrisi ammiccanti, si focalizza più che altro su pantaloni di velluto a zampa di elefante, chiome cespugliose, camicie con lo jabot, basettoni d’ordinanza).
Adesso che gli anni sono passati, e quanti, il Cabala è diventato un ritrovo di ragazzotti chiassosi e di ovvio, banale beverage. Il
Rivoli Café, invece, dopo anni di trascurate gestioni prefallimentari, è stato riportato a nuova, gioiosa seppur differente, vita da un personaggio solare e generoso che a Bologna sono in pochi a non conoscere, Stefano Camisa. Intendiamoci. Della vecchia atmosfera nulla è restato. Ma il locale di adesso, rinnovato dal vulcanico proprietario, è accogliente e frequentatissimo (sarà la centralità della location, via dell’Orso è la stradina che unisce Indipendenza con Galliera proprio affianco all’antico cinema Metropolitan adesso convertito in Zara, sarà la presenza dell’hotel Metropolitan, o dell’Orso 6, proprio lì di fronte) da una clientela festosa e cosmopolita, giovane e competente che si compiace della calorosa accoglienza che Stefano riserva a nuovi e vecchi frequentatori, un’accoglienza che risente di quella bonomia, arguzia e savoir-faire per cui Bologna era famosa e celebrata in tempi non poi così distanti. Detto che la scelta dei vini è più che discreta e perfetta per accompagnare veloci pranzi o discrete cene con pochi, curati piatti della tradizione, che i cocktail proposti non hanno nulla da invidiare a quelli che si possono bere in locali ben più celebrati e che gli stuzzichi sono decisamente buoni, non mi resta che augurarVi bon appetit.
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Lo dico subito: un po’ per età, un po’ perché tornato a Bologna quando ormai l’era gloriosa degli american bar (e delle sottostanti tavernette, sogno proibito di tutti gli adolescenti dell’epoca che immaginavano chissà quali paradisi di piaceri perversi) era al tramonto, non ho potuto, appunto, vivere quelle emozioni. Un paio di questi locali, però, li ho visti, passandoci davanti, più volte immaginando, anch’io, chissà quali avventure mi venissero negate. Uno, il TioPepe, poi diventato Woodpecker (ma la memoria non aiuta, forse era prima Woodpecker e poi TioPepe) ed infine Cabala di Strada Maggiore, era il regno incontrastato di Giorgio Guida (esatto, proprio lui, il papà della mitica Gloria delle nostre infanzie brufolose), un monumento, un barman che lavorava all’Hotel Gran Bretagna di Bellagio sul lago di Como (ebbene sì, Bellagio dove tiene casa un altro famosissimo Giorgio, o George, Clooney, naturalmente) e all’Hotel Dolomiti di San Martino di Castrozza, da Zanarini quando Zanarini era Zanarini (da qualche anno, grazie ad un altro grandissimo professionista, Michele Doria, fortunatamente Zanarini sta tornando ad essere quell’espressione del buon bere e del buon vivere che la città merita) e all’Hotel Bauer Baviera di Merano e poi in tutti i più importanti circoli e club cittadini: il Central Club, il Jolly Joker Club, il Giampy Bar, ma soprattutto un barman che vinse il mondiale I.B.A. del 1976 con un pre-dinner cocktail (che mi piace raccontare, anche se non soprattutto, per evidenziare le differenze tra i gusti di 40 anni fa e quelli odierni: 1/4 Whiskey Oldcrown, 1/4 Royal Stock Brandy, 1/8 DiSaronno 1/4 Campari 1/8 Carpano White Special Vermouth guarnito con cocktail cherry e lemon peel e servito in un cocktail glass, la banale coppetta da Martini). L’altro imprescindibile luogo di perdizione dentro il quale si lanciava sempre un’occhiata passando sperando di cogliere una fugace visione di quel mondo parallelo a noi giovincelli vietato, era il Rivoli Café in via dell’Orso 5 (il ricordo, più che su audaci scollature, vertiginose minigonne e sorrisi ammiccanti, si focalizza più che altro su pantaloni di velluto a zampa di elefante, chiome cespugliose, camicie con lo jabot, basettoni d’ordinanza).
Adesso che gli anni sono passati, e quanti, il Cabala è diventato un ritrovo di ragazzotti chiassosi e di ovvio, banale beverage. Il
Rivoli Café, invece, dopo anni di trascurate gestioni prefallimentari, è stato riportato a nuova, gioiosa seppur differente, vita da un personaggio solare e generoso che a Bologna sono in pochi a non conoscere, Stefano Camisa. Intendiamoci. Della vecchia atmosfera nulla è restato. Ma il locale di adesso, rinnovato dal vulcanico proprietario, è accogliente e frequentatissimo (sarà la centralità della location, via dell’Orso è la stradina che unisce Indipendenza con Galliera proprio affianco all’antico cinema Metropolitan adesso convertito in Zara, sarà la presenza dell’hotel Metropolitan, o dell’Orso 6, proprio lì di fronte) da una clientela festosa e cosmopolita, giovane e competente che si compiace della calorosa accoglienza che Stefano riserva a nuovi e vecchi frequentatori, un’accoglienza che risente di quella bonomia, arguzia e savoir-faire per cui Bologna era famosa e celebrata in tempi non poi così distanti. Detto che la scelta dei vini è più che discreta e perfetta per accompagnare veloci pranzi o discrete cene con pochi, curati piatti della tradizione, che i cocktail proposti non hanno nulla da invidiare a quelli che si possono bere in locali ben più celebrati e che gli stuzzichi sono decisamente buoni, non mi resta che augurarVi bon appetit.
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