Paradise sky, western sui generis

Lo dovevo. A lui, a Lansdale che è un grandissimo. A me stesso, lui è uno dei miei tre autori preferiti. A un amico cui lo avevo promesso e non ho fatto in tempo a mantenere la promessa.
Joe R.Lansdale, allora. L’autore della picaresca serie con i due protagonisti più eccitanti della letteratura di genere (anche se, non mi stancherò mai di dirlo, c’è genere e genere, e quello di Lansdale, tutto è fuorché genere), Hap & Leonard, ormai arrivata, la serie, ad una dozzina di titoli. Ma anche autore di fantascienza di culto (la trilogia del Drive-In) e di una sterminata serie di romanzi e racconti di formazione e di riscoperta di un mondo, quello degli anni della rinata consapevolezza di una nazione, gli StatiUniti. Ed autore, anche, percorrendo i sentieri tracciati da MarkTwain e da Cormac McCarthy, da Louis L’Amour e da Elmore Leonard, di western, western classici e western sui generis come, sui generis, è, per l’appunto, questo “Paradise sky”, il cui protagonista, all’indomani della Guerra Civile americana quando i bianchi del Sud sconfitti non avevano ancora digerito quello che ancora oggi sta sullo stomaco di molti di loro, e cioè che gli afroamericani erano sono e saranno uomini (e donne) come loro, è Nat Love che all’inizio si chiama Willie Jackson e alla fine avrà un altro pseudonimo ancora, Deadwood Dick. E la molla che fa scattare il tutto è da repertorio perché se sei nero come Nat gli errori del passato non smettono mai di darti la caccia come segugi assetati di sangue: senza neanche accorgersene (e forse senza averlo fatto materialmente) il giovane ha guardato una donna bianca, moglie di uno di quegli uomini bianchi da niente che, proprio per la propria nullità razzista furente e testarda, inizierà una caccia all’uomo tenace e senza fine.
Il romanzo, oltre che essere un racconto di formazione (Willie troverà un mentore, primo di una serie di altri personaggi tutti fondamentali nel suo crescere, che lo trasformerà in Nat), cavalca voluttuosamente tutti gli archetipi dell’avventura ed è una spietata messa in scena dei sentimenti alla base della tragedia umana (l’amore e la vendetta). E’ un omaggio appassionato al west, il west della sua (di Lansdale) ma anche della nostra infanzia, di quando le storie che guardavamo al cinema ci riportavano all’essenza (quella che allora credevamo fosse l’essenza) della vita: azione, morte, amore, buoni, cattivi, duelli, sangue, sogni. Ma è anche una presa di posizione forte e civile (in barba alla patetica posizione di chi vede in Lansdale, istruttore di arti marziali e intimamente legato a quel profondo sud, a quel Texas da lui definito “uno stato mentale”, nulla più di un reazionario fascistoide): in un momento in cui riesplodono scontri razziali, tensioni sociali e l’american way of life si rivela essere costituita una volta di più da quella materia di cui sono fatti i sogni, Nat, il suo protagonista, è nero, intelligente, astuto e colto. Ed è realmente esistito, così almeno narra la leggenda (e nel west, si sa, quando la leggenda incontra la realtà, vince la leggenda). Ha combattuto con Custer (ma non, per fortuna sua e nostra, al LittleBigHorn), ha cavalcato con PatGarret & BillyKid, ha sparato con WildBillHickok e ha lavorato nel circo di BuffaloBill.
Il romanzo ha il respiro lungo delle grandi saghe, siamo tra il Quentin Tarantino degli “Hateful eight” e il Kasdan di “Silverado”, tra il Fred Zinnemann di “Mezzogiorno di fuoco” e il Dick Richards di “Fango, sudore e polvere da sparo”, tra l’ Arthur Penn de il “Piccolo grande uomo” e il Sam Peckinpah di “Pat Garrett & Billy the Kid” e, mentre le pagine scorrono, le immagini iniziano a danzare davanti agli occhi come in un sogno avvolgente e si sentono gli spari, il soffio caldo del vento e il gelo della luna nel deserto, ecco, a scandire la vita, e la morte, dei personaggi, le battute secche e definitive che sarebbero piaciute al più grande creatore di dialoghi di tutti i tempi, Elmore Leonard: “… stiamo tranquilli, gli indiani hanno una pessima mira …” dice uno prima di essere colpito a morte da un pellerossa.
“… si saranno esercitati …” è l’orazione funebre di Nat Love.

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