“L’umiliazione dei Northmore” di Henry James

Henry James, statunitense naturalizzato inglese, è considerato dalla critica uno degli iniziatori del romanzo moderno. Probabilmente perché, risentendo della sua doppio status di americano e inglese, i romanzi di James spesso ruotano attorno alla contrapposizione tra il vecchio (un'Europa artisticamente raffinata, corrotta e affascinante) e il nuovo mondo (un'America aliena da false sovrastrutture, sicura di sé ma al contempo intrappolata nelle puritane convenzioni sociali), quasi un anamnesi del conflitto tra l'innocenza della giovinezza americana e la pericolosa decadenza europea. Un incontro/scontro che l’autore risolve introducendo nei suoi romanzi degli stilemi, come il monologo interiore e un’antesignana narrazione psicologica, modernamente rivoluzionari per l’epoca.

Perfetto esempio di quanto detto, questo “L’umiliazione dei Northmore”, una short stories in cui “… alla morte di Lord Northmore, il suo amico di lunga data Warren Hope, che ha partecipato al suo funerale, ne seguirà presto la stessa sorte. La moglie di Warren considera questa fine come l'ultima beffa di un rapporto sbilanciato: i due uomini avevano iniziato a lavorare insieme ma, mentre Warren, pur essendo il più intelligente tra i due, era rimasto nell'ombra e non aveva raggiunto alcuna gratificazione morale ed economica, Lord Northmore era diventato ricco e illustre. Mrs Hope vuole vendetta nell'umiliazione postuma di quella famiglia arrogante. L'occasione insperata le si presenterà grazie a un epistolario amoroso tenuto nascosto per molti anni …”.

La storia, banale se riassunta, si rivela invece al lettore avvertito, come una esemplare dichiarazione d’intenti della poetica di James: un continuo ed inesausto rincorrersi tra coscienza ed istinto, tra moralità ed invidia. Avvalorando la teoria secondo la quale in realtà i romanzi di James non parlano di persone ma di epoche, di culture, di sfere sociali. Valga da splendido ed eclatante esempio, l’intimo struggimento interiore di Lady Hope, vero e proprio dramma psicologico, nel momento della presa di coscienza della ineludibilità dell’imminente scontro con il proprio ambiente.

Questo afflato di modernismo, unito ad una prosa di raffinata leggiadria, ha fatto sì che le opere di James venissero copiosamente saccheggiate per trasposizioni cinematografiche dai più grandi registi. Ci limiteremo qui a ricordare “Improvvisamente, un uomo nella notte” di Michael Winner, “Daisy Miller” di Peter Bogdanovich, “Gli europei” e “I bostoniani” di James Ivory, “Ritratto di signora” di Jane Campion.

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