“Il guardiano del faro” di Henryk Sienkiewicz

Henryk Sienkiewicz, polacco, nato nel 1846, giornalista, romanziere e vincitore del premio Nobel nel 1905 per il romanzo “Quo vadis” (esatto; proprio quello da cui fu tratto il filmone hollywoodiano interpretato da Charlton Heston con la famosa corsa delle bighe tra, appunto, BenHur e Masala) visse in prima persona la repressione russa che soffocò nel sangue l’insurrezione polacca del 1863. Non c’è da stupirsi, quindi, che tutta la sua opera, almeno quella non solamente avventurosa (vedi il già citato “Quo Vadis”), è incentrata ed ispirata al ricordo ed all’apologesi di quelle pagine, tra le più tristi della storia nazionale.

Non fa eccezione questo “Il guardiano del faro” in cui un settantenne ex militare, Skawinski, un reduce che può vantare una croce  avuta nel ’30 (nelle fila dell’esercito rivoluzionario polacco che nel 1830 combattè eroicamente per dieci mesi contro i russi) ed una spagnola della guerra coi carlisti (la guerra civile spagnola tra la reggente Cristina ed il pretendente Carlo del 1833/40) nonché una Legion d’Onore avuta in Ungheria (durante l’insurrezione ungherese del 1848/49 che l’Austria soffocò con l’aiuto della Russia) e che poi si è battuto negli Stati Uniti contro i sudisti ed ha attraversato a piedi le immense pianure tra NewYork e la California prima di imbarcarsi come fiociniere su una baleniera, si propone, in sostituzione di quello appena deceduto, come guardiano del faro di Aspinwall vicino all’istmo di Panama. E per avvalorare la sua richiesta, l’anziano avventuriero non si perita di confessare al Console degli StatiUniti, la persona designata a trovare il nuovo guardiano, che “… sono molto stanco, esausto, ne ho passate tante … questo posto è uno di quelli che più ardentemente ho desiderato … sono vecchio, ho bisogno di pace, di dire a me stesso qui finalmente potrai restare, questo è il tuo porto …”.

Ottenuto il posto, Skawinski si lascia trascinare dal lento e monotono succedersi delle alte maree, dell’arrivo giornaliero delle vivande, della sera che porta gli effluvi della vicina, eppur così lontana foresta e le luci della città altrettanto irraggiungibile, in un ipnotico e pacificante trantran. Tutto, quindi, sembra procedere come meglio lo stesso Skawinski non avrebbe potuto immaginare. Fino al giorno in cui, qualcosa, un plico misterioso, non lo costringerà a tornare col pensiero alla patria mai dimenticata e a fare i conti col proprio passato. Un passato che riassume in sé, nel proprio essere inevitabilmente esule, la vita e le parole di tutti gli esuli del mondo, di tutti coloro costretti a vivere lontani dalla terra d’origine. Non resterà, quindi, che riprendere, sorta di infaticabile ebreo errante con però una nuova luce, più scintillante, negli occhi,  il proprio girovagare per le nuove strade che la vita gli proporrà.

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