Skellig

Amore è il bambino che con noi fiata forte, amore è il bambino che sbaraglia la morte” (William Blake).

Le favole, spesso, servivano a far apprendere ai giovani ascoltatori (le fiabe ai loro bei dì, venivano rigorosamente raccontate oralmente dalle nonne o dai nonni ai nipoti ed alle nipotine nelle sere più scure) cose della vita che altrimenti sarebbe stato difficile, per non dire sconveniente, potersi permettere di esplicitare altrimenti. Questo è uno dei motivi per cui le favole, più che apparentarsi a piacevoli intrattenimenti per bambini viravano spesso e volentieri le proprie narrazioni verso il gore, il granguignolesco, l’orrore più o meno direttamente mostrato e raccontato.

Una certa parte della cosiddetta letteratura per ragazzi (o per l’infanzia) odierna, ha fatto proprio questo stilema (raccontare scuro, per dire altro). Ottimo esempio, è questo “Skellig” di David Almond edito da Salani nel 2009. La storia, che potremmo sintetizzare in Bambini che Accudiscono Merli, Gufi che accudiscono Angeli, Angeli che accudiscono Bimbi che soffrono, e che curiosamente sembrerebbe riprendere i temi di tanta letteratura adulta, mette a confronto le certezze della vita quotidiana e la scoperta del diverso, dello sconosciuto, dell’altro. In un crescendo, ed un susseguirsi, di prese di coscienza e di disvelamenti che non possono non ritrovarsi nella lettura e nell’interpretazione degli accadimenti di questa nostra contemporanea società.

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