Altro classico senza tempo, questo “Memorie di un giovane libertino” di Guillaume Apollinaire (Edizioni Clichy, 2016). Un classico, sì, ma un classico maudit. Uno di quei libri che, ai tempi dell’autore, un periodo che si può circoscrivere alla fine dell’800 e all’inizio del secolo breve, veniva letto e passato di mano in mano di soppiatto nei circoli e nei bistrot sollevando risolini imbarazzati e alzate di sopracciglio e, nel caso fortuito della presenza di una signora, rossori, soffioni e, in casi estremi, mancamenti. La storia, quella dell'iniziazione amorosa e ripetutamente incestuosa del giovane Roger, è nulla più che il racconto di un’iniziazione che, travalicando subitaneamente la propria essenza, diventa un vero e proprio romanzo di formazione, la storia di un adolescente che diventa, grazie alla ripetitività della pratica sessuale, uomo. Un libro sorprendentemente crudo nel lessico e spudorato nelle situazioni, tanto da essere stato, come detto, per lungo tempo considerato proibito e relegato ne “L’enfer de la Bibliothèque” (l’inferno dei libri) come era chiamata la Sezione della Biblioteca Nazionale di Parigi riservata ai testi proibiti e pornografici e che ospitava tra gli altri volumi, le perversioni del marchese DeSade così come i versi di Baudelaire e Verlaine. D’altronde cosa attendersi dall’autore delle “Undicimila verghe”, uno dei romanzi più scandalosi della prima metà del ‘900?
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