“In questo cimitero hanno trovato sepoltura un numero imprecisato di donne e uomini morti nel tentativo di raggiungere l’Europa attraverso il Mar Mediterraneo, unica via per cercare la possibilità di futuro. La quasi totalità delle tombe non ha un nome e le uniche notizie che è stato possibile recuperare delle storie di queste persone riguardano le circostanze della loro morte o del ritrovamento dei loro corpi. Ma tutti loro hanno vissuto. Hanno gioito e sofferto, hanno sperato e lottato e qualcuno gli ha attesi e pianti. Nella consapevolezza che ogni frammento di storia sia capace di produrre una crepa in quel muro che divide gli uni dagli altri e nella speranza che la memoria di queste vite non vada persa, occorre continuare a raccontare affinché si raggiunga una moltiplicazione delle voci, tale da essere assordante.”
Queste sono le parole che si leggono all’ingresso del cimitero di Lampedusa; parole scritte su una targa con la cornice fatta con il legno di una imbarcazione utilizzata per chissà quale traversata. Appena ho varcato la soglia il respiro è cambiato – mi capita sempre al cimitero – ma qui è stato diverso, una sensazione strana, un pugno nello stomaco! E’ la testimonianza toccante della più grande tragedia dei nostri tempi. Ricordarli è un atto di umanità, continuare a raccontare, affinché non siano cancellati dalle nostre coscienze.
Questo piccolissimo lembo di terra affronta un grande compito, tendendo ogni giorno la mano a chi chiede aiuto. Le morti del Mediterraneo sono un fatto politico, la prova tangibile della distanza che l’Europa misura dai suoi valori ideali. Auguriamoci che dopo il delirio di queste settimane, tra esercito, porti bloccati, muri, si “sblocchi” volontà di affrontare insieme il fenomeno delle migrazioni, che resteranno il tratto distintivo del nostro tempo.
Queste sono le parole che si leggono all’ingresso del cimitero di Lampedusa; parole scritte su una targa con la cornice fatta con il legno di una imbarcazione utilizzata per chissà quale traversata. Appena ho varcato la soglia il respiro è cambiato – mi capita sempre al cimitero – ma qui è stato diverso, una sensazione strana, un pugno nello stomaco! E’ la testimonianza toccante della più grande tragedia dei nostri tempi. Ricordarli è un atto di umanità, continuare a raccontare, affinché non siano cancellati dalle nostre coscienze.
Questo piccolissimo lembo di terra affronta un grande compito, tendendo ogni giorno la mano a chi chiede aiuto. Le morti del Mediterraneo sono un fatto politico, la prova tangibile della distanza che l’Europa misura dai suoi valori ideali. Auguriamoci che dopo il delirio di queste settimane, tra esercito, porti bloccati, muri, si “sblocchi” volontà di affrontare insieme il fenomeno delle migrazioni, che resteranno il tratto distintivo del nostro tempo.
Commenti
Posta un commento