Virtus: a 40 minuti dalla promozione

Due a zero e continuare. Detto così, sembrerebbe tutto facile e bello. Bello, sì, lo è stato (le partite) e lo è (la speranza);  facile, quello proprio no. Perché Trieste, pur soffrendo, pur dimostrando di essere inferiore, pur ritrovandosi in mutande al ballo del re, una squadra facile da incontrare (e battere) davvero non lo è.

Per dire; all’intervallo dopo il 1° quarto di gara 1 di finale tra Virtus e Trieste, agli amici attorno a me che si guardavano un po’ basiti  maledicendo che loro la mettessero sempre, ho risposto che non avrebbero potuto continuare così. Non perché io sia un divinatore, semplicemente perché un giocatore da solo, per quanto bravo, per quanto grande, per quanto fenomeno sia, non può vincere contro una squadra; soprattutto non può vincere una serie (LeBron contro i Warriors può servire da esempio, recente e lampante, ma anche il magnifico, ma solo, Green di gara 2 lo è altrettanto).  Poi, vero, se sei Sasha ti inventi il cesto da 4 e nel supplementare metti l’80% dei punti della tua squadra e vinci lo scudetto; ma anche allora, in quella partita benedetta e maledetta nella stessa misura, fin lì, fino al tiro che resterà per sempre nella leggenda, ti ci aveva portato la squadra. Se poi, come nel caso di Virtus/Trieste i fenomeni che non sbagliano mai sono Bravin e Baldasso …

Questo per dire che, una volta sfumati i refusi di entusiasmo e di adrenalina, quella che è rimasta, in entrambe le partite giocate al PiccoloMadison, è stata la squadra più squadra, quella che sa giocare insieme in una sorta di uno per tutti, tutti per uno da libro Cuore dei canestri e se poi quell’uno si chiama Umeh e segna 29 e 23 punti, oltre a mettere in campo una difesa asfissiante, mostrare un’intelligenza tattica fuori dal comune, oltre a saper caricare i compagni ed il pubblico, oltre a preservarsi dai falli e caricarne esponenzialmente gli avversari, rimane poco da dire. Poco da dire di una squadra, quella giuliana, che comunque non muore mai (il buon spirito carnico non tradisce), ha nel cuore il suo pregio maggiore e presenta almeno uno dei due mori (il già citato Javonte Green) in una forma smagliante. Certo giocare contro questi Lawson e Spizzichini, Rosselli e Spissu, Gentile e Bruttini fa dimenticare in fretta la serataccia confusa e nervosa di Ndoja in gara 2, altra partita comandata, segnata in lungo e in largo, sotto gli occhi adoranti di 5/6mila tifosi in festa, anche per la presenza del mito che molti non hanno nemmeno visto allenare, il CT, ancora per poco, Ettore Messina, il guru delle squadre che furono, il guru delle 2 Champions (o come volete chiamarle) dei 3 scudetti, delle 4 Coppe Italia (quella vera, quella che si gioca al piano di sopra).

Adesso si andrà a Trieste, il campo che più ha giustificato il termine fattore/campo con le sue 22 partite giocate dalla squadra di casa senza conoscere sconfitta. Finora, il confronto tra l’attacco e la difesa migliori della Lega ha visto prevalere, e di netto, l’attacco bianco/nero. Certo ci si aspetta che al PalaRubini le cose saranno differenti: la carica ambientale di chi non ha mai visto perdere la propria squadra (in casa, tranne una prima, lontanissima nel tempo e nei ricordi volta contro Treviso), l’orgoglio di un team che, comunque vada, ha già raggiunto un suo invidiabile primato, il cuore di chi non vorrà deludere i 6mila che si prevedono assiepati a urlare e incitare e tifare.

Però questa Virtus, questa Virtus vista fin qui, motivi per sognare ne ha.

Infine, una spiegazione sui 40 minuti del titolo. Che vogliono semplicemente significare come alla Virtus manchi una sola partita (40 minuti, appunto) per poter coronare il sogno promozione; per dire, a Trieste ne mancano 120, di minuti (tre partite). Questo chiarimento per spiegare che non si intendeva minimamente minimizzare l’impegno, difficilissimo ma stimolante, che attende la Vnera a Trieste.

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