“… e alla fine vince Virtus …”

Così verso la metà degli anni ’90, scolpì Sasha Danilovic in uno di quegli aforismi che caratterizzavano i suoi momenti di trance dialettica che lo faceva così tanto amare a noi suoi tifosi ed altrettanto fortemente lo faceva odiare ai tifosi della tante squadre che, lui da solo, grazie allo strabordante ego ingombrante e magnetico, devastava con quel suo gioco semplice, poco appariscente, poco atletico ma straordinariamente efficace ed impossibile da marcare, rispondeva all’incauto cronista che probabilmente chiedeva cosa pensasse di quell’ennesimo trionfo: “… alla fine vince Virtus …”.

Lo so, può sembrare irrispettoso (per quella Virtus ma anche per questa) tirare in ballo la squadra dei trionfi, delle Champions, la squadra che sarebbe arrivata facile ai playoff NBA. Però, nel suo piccolo, anche questa Virtus operaia che ha trionfato a Trieste (un parquet dove nessuno vinceva da 22 partite, e non traggano in inganno i soli 6 punti di distacco, la partita è stata, se non dominata, comandata per almeno 38 minuti su 40), tornando in Lega1 solo 13 mesi dopo la vergognosa retrocessione dell’anno scorso, va celebrata. Va celebrata per l’impresa, certo, un’impresa che forse non sarebbe stata possibile senza l’intervento in corso d’0pera, corposo e vistoso, della nuova governance Segafredo, ma anche e soprattutto per il carattere, il cuore, la rabbia agonistica, la voglia e, perché no, anche per la tecnica che i meravigliosi protagonisti hanno dimostrato durante tutta l’annata sportiva che semplice, si badi bene, non è mai stata.

E ricordiamoli, allora, i protagonisti che fecero l’impresa. A cominciare, noblesse oblige, dal presidente Alberto Bucci, un uomo, un nome, che ha un suo personalissimo posto nel pantheon delle divinità cestistiche cittadine. Per continuare con il coach Alessandro Ramagli, contestato ingiustamente, ma ci sta quando la tensione, ed i sogni, cominciano a volare alti, quando l’ombra del fallimento con Verona di due anni fa si è fatto ombra pesante su una stagione fino a quel punto trionfante e lui ha risposto con il rigore, il lavoro, il metterci la faccia. Della governance, il patron in pectore Massimo Zanetti, e il suo delfino Luca Baraldi, abbiamo detto e forse, forse, la stagione non avrebbe avuto questo esito senza la sua forza economica, il suo spirito, il suo non accettare di non primeggiare. I giocatori adesso, i veri, gli unici, magnifici, protagonisti di quella che resterà un’impresa scolpita nel cuore e nelle menti al pari dei tanti altri trionfi passati (vabbè, lo scudetto con il tiro da 4, le due champions, quelli sono, e resteranno, ricordi altri, ma insomma …).

E cominciamo con i due mori, Michael Umeh e Kenny Lawson: con buona pace dei tanti milordini che a inizio anno storcevano un po’ il naso per la mancanza di pedigree dei due, a mio avviso, e senza dubbio, il miglior centro del campionato (Lawson) e la guardia che ha sempre saputo adeguare il proprio gioco alle esigenze del momento (Umeh); si riuscisse a tenerli…

Quelli che spesso e volentieri ho chiamato i veterani: Guido Rosselli, Klaudio Ndoja e Stefano Gentile: rispettivamente, un concentrato di classe, umiltà e forza d’animo forse inaspettate ma riconosciute da chiunque, compagni ed avversari; la grinta allo stato puro (e a volte impuro) una presenza costante, il terminale senza paura cui affidarsi nei momenti del bisogno; l’intelligenza maturata in tanti anni di splendente gregariato in team di alto, e a volte altissimo, livello condite da quella sagacia tattica e furbizia agonistica degne del blasone che il nome comporta.

I giovani che non ti aspetti: Marco Spissu e Gabriele Spizzichini: vorrei che ci fosse uno, uno solo, che si alzasse dicendo io lo sapevo che Spissu avrebbe potuto essere quel regista che si è dimostrato. Bravino, Sassari lo aveva rivoluto a campionato iniziato l’anno passato, ma l’annata deludente lo aveva ben presto rirelegato al ruolo di comprimario assoluto. Però Ramagli, e Bucci, hanno avuto buon fiuto a puntare su questo ragazzo che, all’arrivo di Gentile (stesso ruolo ma quanta esperienza in più) non si è disunito, anzi è riuscito a migliorare statistiche e, cosa ben più importante, leadership ed impatto; e mi piacerebbe altrettanto che un altro qualcuno dicesse che sì, su Spizzichini avrebbe scommesso: bravo, e bello da vedere, lo è, ma giovane, disabituato a livelli di questo tenore. Ed invece, con il passare delle partite, affidabilissimo sesto/settimo uomo, miglior difensore, una non banale propensione ad attaccare il ferro e buone, tutto sommato, percentuali.

I comprimari: mi perdonino il termine, ma i due veteranissimi Andrea Michelori e Davide Bruttini questo sarebbero dovuti essere; ed invece, minuti, presenza, impatto, voglia di sbucciarsi le ginocchia: chapeau.

I giovani giovani: quelli che, in momenti bui e difficili, quando sono mancati per i motivi più vari Ndoja, Bruttini, Gentile e Lawson, hanno fatto il loro, ma un loro molto più importante, per la squadra, di quello che sarebbe stato in momenti normali: e quindi un bravi grande così a Lorenzo Penna, Tommaso Oxilia, Alessandro Pajola, Danilo Petrovic.

Celebrati i vincitori, non rimane che godere questi momenti. Da domani (o più probabilmente già da oggi) c’è chi sta lavorando per la Virtus del futuro. Non resta che aspettare. Ricordando che, comunque, come diceva lui, “… alla fine, vince Virtus …”.

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