L'intrigo di Lucarelli

È sempre bello ritrovare un vecchio amico. Eravate stati così uniti, così intimi. Poi, si sa come vanno le cose, alle volte, un po’ per pigrizia, un po’, chessò, un malinteso, un po’ di stanchezza, un po’ di incuria. E ci si perde. Lasciando in bocca, ma dietro, un sapore amaro come di metallo crudo. Che poi, col tempo, si annacqua, fino a non farsi sentire più. In fondo, però, rimane. Questo sapore di cose passate, di amicizie di una volta, ma non per questo finite, solo sospese. Così, quando succede, se succede, di ritrovarsi, di avere un sentore, un segno, un qualcosa che certifica che non tutto è scomparso, ti senti davvero di avere ritrovato qualcosa di te che è stato, che è importante.

Io davvero non pensavo più di incontrarlo, sono passati vent’anni dall’ultima volta, Achille DeLuca. Il suo mentore, il suo autore (eggià, c’è un autore, perché il mio amico perduto ed ora ritrovato è un amico letterario), è da tempo impegnato (perso?) in cose più importanti, più grandi. Forse il tempo per lui, il commissario DeLuca, era finito, forse la sua storia, la storia stessa dello stesso DeLuca, si era esaurita. Non lo credevo possibile, ma forse lui, il suo autore, ne era convinto.



Così quando ho visto in libreria questo “Intrigo italiano” di Carlo Lucarelli (quarta puntata della saga dopo “Carta bianca”, “L’estate torbida” e “Via delle oche”), hey, festa grande. Le attese (quali attese? attesa non c’era pensando tutto fosse finito) non sono certo andate deluse. DeLuca è tornato, dunque. Per chi non lo sapesse, Achille DeLuca era uno sbirro, il più brillante investigatore della polizia italiana, e “… risolveva tutti i casi e metteva in galera tutti gli assassini …”, ma questo in un’Italia in orbace, in cui la criminalità ufficialmente era stata estirpata, ed allora questo suo scoprire crimini e trovare criminali era visto un po’ così, quasi fosse disfattismo. Poi c’era stata la guerra, l’8 settembre, la Repubblica di Salò. E lui sempre lì, a fare il suo mestiere, risolvere crimini e punire i colpevoli (provare a punire, sarebbe meglio dire).

Ed anche adesso, adesso che l’ho ritrovato, DeLuca è lì che cerca di venire a capo di un delitto strano, un delitto nell’ambiente ambiguo del jazz, un delitto avvenuto nell’ambiente ambiguo del jazz in una Bologna desolata come può essere una Bologna appena uscita, ma appena appena, dal ricordo della guerra e fredda e coperta di neve come può essere la Bologna stessa dell’inverno del ’53 (tutto si svolge tra lunedì 21 dicembre 1953 e giovedì 7 gennaio 1954, da qui, la data, il quadro associato non può che essere uno dei décollage di Mimmo Rotella, nello specifico “La magnifica preda” proprio del 1954), una Bologna in cui si muovono cantanti mulatte con la passione del jazz e falsari russi, esponenti della Bologna bene e fighesse assatanate, jazzisti squattrinati e drogati e un assassino che viene dal passato. Una Bologna che sarà per un attimo lunghissimo il crocevia di tutto ciò che seguirà, di tutto quello che il delitto di Wilma Montesi a Torvaianica sarà capace di scatenare. In mezzo a tutto questo, lui, DeLuca e i suoi collaboratori di una volta Pugliese, D’Orrico e DiNaccio saranno contrapposti a strani personaggi assoldati da quelli che diventeranno i servizi.

Un DeLuca diverso e dismesso, sfiduciato e disilluso, infreddolito (e non è solo la neve che copre una città all’apparenza addormentata) e fatalista.

Un DeLuca che dovrà scegliere, e lo dovrà fare sulla sua pelle, cosa diventare (l’ingegner Morandi, ad esempio).

O se restare, ma a quale prezzo, quello che è sempre stato (“… vedi, DeLuca, per fare lo sbirro ci vuole un cuore di cane, ma di razza diversa. Ci sono i questurini comuni che hanno un cuore di cane da guardia e ci sono quelli della Mobile che ne hanno uno da cane da caccia. Tu sei un cane da tartufo, ragazzo mio. Ecco, per quelli come noi, invece, ci vuole un cuore di cane bastardo …”).

Chi ha letto, e magari amato, Schiavone, il protagonista dei romanzi di Manzini, chi lo ha seguito in TV nell’impresentabile interpretazione di Giallini, dovrebbe leggere DeLuca, dovrebbe leggere Lucarelli. Leggerebbe qualcosa di buono.

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