Storia del cane Tago

Comincio queste poche righe con un ricordo personale: quando ero bambina le mie passeggiate in città erano caratterizzate da una serie di tappe ritualizzate che scandivano i pomeriggi primaverili del sabato e della domenica. La giostrina della Montagnola, la pizzetta di Altero che mi scottava la lingua, il laghetto dei giardini Margherita con le papere a cui lanciare pezzi di pane e subito dopo il passaggio davanti alla gabbia del leone Reno, una specie di  plaid molto peloso sdraiato sul pavimento di cemento della gabbia che raramente apriva la bocca allo sbadiglio mostrando i denti.

[caption id="attachment_4241" align="alignleft" width="190"] Luigi Acquisti, ritratto di Tago, 1777, terracotta dipinta. Bologna Collezioni Comunali d’Arte
(foto licenza Wiki Media Commons)[/caption]

Tra questi passaggi imperdibili ce n’era uno che aspettavo con un misto di angoscia e curiosità. Per mano ai miei genitori, varcavo il portone di via Oberdan 24, entrando in quello che allora non sapevo essere palazzo De’Buoi. All’ultimo piano del palazzo, seduto sul davanzale di una finestrella, il muso rivolto verso il portone c’era il cane Tago. Non un cane vivo e vegeto ma una statua in terracotta, che rendeva in modo naturale e quasi equivocabile, la figura di un cane che fissava il portone d’ingresso. Il racconto della storia di Tago mi emozionava sempre: il padrone del cane, il marchese Tommaso Bovi,  partito per un lungo viaggio aveva lasciato a palazzo il suo bracco di Weimar, un cane da caccia che la nobiltà di fine Settecento amava molto per il portamento e il profilo elegante ma anche per l’intelligenza ed il carattere affettuoso. Il rapporto intenso  tra padrone e cane fu fatale a quest’ultimo, che sentendo il rumore della carrozza del marchese rientrare a palazzo ed affacciatosi alla finestrella per vederlo, tanto si sporse dal davanzale abbaiando per manifestare la sua gioia, da cadere nel cortile e morire.

La reciprocità dell’affetto tra l’uomo e il suo compagno a quattro zampe era tale da far sì che il marchese commissionasse allo scultore Luigi Acquisti una statua in terracotta con le fattezze di Tago, da collocare sul davanzale della finestrella dalla quale il bracco era precipitato e che in segno di lutto dal giorno della morte di Tago, venne murata. La statua, terminata nel 1777, fino al 2008 è rimasta affacciata sul cortile del palazzo; in quell’anno venne rimossa, restaurata così da rivelare parte dei colori originali e da rendere visibile la firma dell’artista apposta sul cuscino sul quale Tago è seduto.

Lo scultore Luigi Acquisti, forlivese di nascita ma bolognese per formazione e attività, a metà Settecento era senz’altro uno dei plasticatori più famosi ed attivi di Bologna; formatosi all’Accademia Clementina, ne aveva vinto più volte i premi di scultura e le numerose commissioni da parte delle famiglie senatorie bolognesi fanno sì che nei palazzi della città siano molte le sue opere tra decorazioni e sculture a tutto tondo. Tante anche le sculture nelle chiese bolognesi; un esempio? le statue delle sibille (Sibilla Cumana, Sibilla Persica, Sibilla Eritrea, Sibilla Frisia) nelle vele della cupola di Santa Maria della Vita (1787). Non potevano mancare commissioni per le tombe monumentali  della Certosa (tomba Spada, tomba Monti-Bendini) dove appare chiaro che Acquisti contribuì a traghettare il linguaggio barocchetto bolognese del tardo Settecento ad uno stile lineare, asciutto che molto doveva al neoclassicismo di Antonio Canova e Berthel Thorwaldsen che Acquisti aveva conosciuti personalmente a Roma durante il suo soggiorno, a fine secolo XVIII.

Nella scultura di Tago però, lo scultore abbandona l’eleganza rarefatta del barocchetto e l’impianto

[caption id="attachment_4240" align="alignright" width="300"] Tago alla finestrella del palazzo di via Oberdan 24, dove è rimasto dal 1777 al 2008[/caption]

severo del nascente neoclassicismo bolognese e si converte ad un naturalismo tenero e affettuoso nel riprodurre la posa accucciata del bracco, i peli del manto che si arricciano sopra il collare, le orecchie pronte a sollevarsi nel riconoscere il rumore della carrozza, il muso attento, espressivo e lo sguardo tenero, fiducioso e commovente.

Tutte le volte che passo in via Oberdan, davanti a palazzo De’Buoi e il portone de civico 24 è aperto, entro nel cortile e guardo in alto, verso la finestrella murata dove Tago non c’è più.

Non avete mai visto questa piccola scultura e vi farebbe piacere? Nessun problema, basta entrare alle Collezioni Comunali d’Arte in palazzo d’Accursio perché adesso Tago, è li, al riparo dalle intemperie e visibile a distanza ravvicinata.

Andate quando volete, lui vi aspetta con la fedeltà e la costanza di sempre.

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