"Europa First"

Foto: "© European Union 2017 - European Parliament"

Da qualche giorno sta girando sui social un simpatico siparietto di cui si è reso protagonista l’attuale presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker . Durante una conferenza stampa, alla domanda di un giornalista su chi – tra Trump e Putin - fosse  a suo parere la minaccia più seria per l’Unione europea, il nostro eroe ha risposto orgoglioso: “io”.

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Non nego che dopo un breve momento di spaesata ilarità - dovuto all’oggettiva inopportunità da parte di un’alta carica europea di rispondere con una battuta ad una domanda sugli attuali equilibri internazionali (evidentemente al giorno d’oggi neanche la noiosa e grigia eurocrazia riesce più a garantire delle certezze di sobrietà) - il mio primo pensiero sia stato: “quanto ha ragione”.

Da mesi ormai – si è iniziato con la Brexit e si è continuato con l’elezione di Trump – autorevoli e stimati opinionisti ci spiegano come l’Europa sia ad un bivio. Di come sia fondamentale che l’Unione europea trovi le forze per reagire ai mutati equilibri internazionali e alla continua messa in discussione dello stesso progetto europeo da parte di molte forze politiche continentali.

Pur condividendo in linea di principio la necessità di un “colpo di reni” da parte dell’Unione, mi risulta piuttosto difficile comprendere a chi spetterebbe questo gravoso ed impegnativo compito.

Davvero c’è qualcuno che pensa che i tre presidenti delle istituzioni UE - Juncker, Tusk e Tajani  - anche volendo, avrebbero le capacità e le possibilità di far cambiare rotta all’Unione? (stendiamo un velo colmo di pietà per il Parlamento europeo che ad oggi sembra fungere esclusivamente da vetrina per le forze politiche euroscettiche).

Anche un neofita di politica europea capirebbe al volo che gli attuali vertici delle istituzioni europee sono stati scelti seguendo criteri di “fedeltà” piuttosto che di capacità. In altre parole sono stati messi lì con l’implicito e tacito accordo di restare buoni e al loro posto ed aspettare di volta in volta istruzioni.

Ma anche nel caso volessimo escludere questo dato e - ragionando per assurdo - ci trovassimo davanti ai nuovi statisti dell’Europa unita: quali possibilità avrebbero di incidere se non fossero supportati dalla maggioranza degli Stati europei ed in particolare dai tre grandi fondatori: Germania, Francia e Italia? Chiunque abbia letto qualcosa di sensato o semplicemente assistito alla storia europea degli ultimi 60 anni sa benissimo che anche grandi personaggi come Delors non avrebbero mai potuto avanzare alcuna proposta senza il via libera di questi 3 Paesi ed in particolare senza l’appoggio dell’asse franco-tedesco (durante la commissione Delors rappresentato dall’asse Kohl-Mitterand).

Ed è proprio dagli sviluppi politici che si avranno in questi tre Paesi che – a mio avviso - si avranno le risposte sul futuro dell’UE. Non è un caso infatti se l’unica proposta credibile ed interessante avanzata in questi giorni – quella dell’Europa a due velocità – sia arrivata non dai vertici delle istituzioni comunitarie, ma dalla Cancelliera tedesca, Angela Merkel.

In questo quadro, il 2017 rappresenta un anno decisivo, per il semplice motivo che almeno 2 di questi 3 Paesi (l’Italia come da tradizione nei momenti storici decisivi tende a tenersi aperte tutte le possibilità) andranno al voto. Un voto che più di altre volte sembra fondamentale e condizionato da fattori esterni.

La Francia sarà la prima ad affrontare le urne. Il 23 aprile si terrà il primo turno delle presidenziali e dopo gli scandali che hanno coinvolto il candidato dell’ UMP, François Fillon, sembra prospettarsi una cavalcata trionfale dell’estrema destra guidata da Marie Le Pen. I socialisti, almeno per il momento, non sembrano in grado di poter ricostruire qualcosa di presentabile dalle macerie provocate da 5 anni di presidenza Hollande. La vittoria di Hamon alle primarie sembra essere più un voto di protesta verso coloro che hanno portato il Partito alla rovina, piuttosto che un vero progetto politico e la presenza di outsider a sinistra come Macron complica ancor più le cose in campo socialista.

Scenario totalmente diverso invece in Germania, la quale, dopo 12 anni di regno Merkel, si appresta ad affrontare le decisive elezioni del prossimo 24 settembre con una novità senza dubbio interessante: i socialdemocratici infatti, dopo la candidatura dell’ex Presidente del Parlamento europeo Martin Schulz, sembrano essere in netta ripresa.

Nonostante i sondaggi positivi sarà durissima per Schulz sconfiggere Angela Merkel, ma il fatto che l’SPD dopo un decennio di subalternità alla CDU sia quanto meno della partita è già una notizia. Ed una loro vittoria potrebbe cambiare realmente le carte in tavola anche a livello europeo.

Infine l’Italia. Probabilmente – al netto del fatto che l’attuale legge elettorale ci consegnerebbe di nuovo un Parlamento senza una maggioranza e quindi senza un vincitore - anche il solo fatto che Francia e Germania si apprestano a votare tra pochi mesi, potrebbe essere un buon motivo per aspettare la scadenza naturale della legislatura e votare nel 2018. Ma si sa, la razionalità non è una dote apprezzata dalla politica nostrana. Roba da Cassandre greche, professoroni universitari e gufi rancorosi. Non vorremmo mai perdere l’occasione di creare un quadro  politico più caotico di quello che già è. Staremo a vedere.

Per quanto riguarda Juncker invece, a prescindere da lui, a prescindere dalla piega che prenderanno gli eventi, la sua Presidenza è destinata a rimanere nella storia come “l’Europa che fu”.

L’augurio è che “il Futuro” non ci costringa a sentirne la mancanza.

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