Lo Scalogno è buono e non porta scalogna...

C'è stato un tempo in cui si pensava che mangiare Scalogno portasse male. Non per presunte proprietà malefiche o jattatorie del piccolo bulbo cipollino ma per la cinica e banale constatazione che chi ne faceva ampio consumo erano soprattutto i poveri e i poverissimi, cioè i più sfortunati. Da lì a definire scalognati gli sfortunati mangiatori di Scalogno il passo fu breve. Il miglioramento delle condizioni sociali della popolazione degli ultimi cento anni si è però incaricato di smentire questa leggenda e di ristabilire la verità: lo Scalogno e' una fonte di sapori, di profumi e di proprietà nutrizionali assolutamente interclassista, cioè buona per tutti, ricchi, poveri e ceti medi. Anzi. Per la cosiddetta legge del contrappasso e soprattutto per il suo sapore, meno intenso di quello della cipolla, più aromatico e leggermente agliaceo, e' diventato un ingrediente della cucina più raffinata  ed attenta ai gusti delicati, la cosiddetta cucina di tendenza. Nei secoli scorsi un'altra leggenda ha circondato lo Scalogno: gli antichi lo ritenevano uno stimolante delle funzioni sessuali. Ovidio lo cita come tale nelle sue lettere e molte leggende popolari delle campagne italiane gli attribuiscono proprietà afrodisiache. La Romagna, senza relazione alcuna con questa leggenda, e' nel frattempo diventata uno dei territori più vocati e specializzati nella coltivazione del bulbo cipollino, al  punto da ottenere dall'Unione europea nel 1997 la tutela della sua unicità e il riconoscimento di qualità con la denominazione "Scalogno di Romagna IGP". Ciò che caratterizza il prodotto romagnolo e' la unicità di colorazione, profumi, sapori, aromaticità, finezza e un disciplinare di produzione che obbliga a tecniche di "produzione integrata", cioè a minimo impiego di prodotti chimici, e al trascorrere di almeno cinque anni prima di riportare sul medesimo terreno la coltivazione.

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