Bologna: va in scena ArteFiera

Centosettantotto espositori. Centocinquantatre gallerie selezionate. Il tutto stipato, contenuto, compresso in due soli padiglioni a fronte dei quattro che solitamente ospitavano la manifestazione. Questi i numeri primi (nel senso di nudi e crudi) che accompagnano questa 41^ edizione di ArteFiera dal 27 al 29 gennaio presso gli spazi di BolognaFiere.

Certo, il raffronto con gli anni passati da un punto di vista meramente numerico, è cagionevole. Ma prima di pontificare dall’alto dell’antica professione della critica (d’altronde Bologna è pur sempre la città in cui se qualcuno ordina uno champagne qualcun altro immancabilmente dirà che sa di tappo) bisognerà aspettare di vedere i risultati.

D’altronde gli intendimenti sono pregevoli. Angela Vattese, la neo direttrice di ArteFiera, ha infatti chiesto a tutte le gallerie, a tutti gli espositori, allestimenti con pochi artisti in modo da poter presentare percorsi in qualche maniera leggibili e congrui. E alcune gallerie (diciotto per l’esattezza), stimolate dalla richiesta, hanno progettato addirittura una sorta di SoloShow, ovverossia un percorso dedicato ad un singolo artista.

Naturalmente sarà presente la fotografia, la cui sezione, si spera cospicua di numeri e significati, è stata curata personalmente dalla direttrice. Interessante, poi, e sperabilmente frequentata, la sezione dedicata alle nuove proposte, “NuevaVista”, che ospiterà autori nuovi (con questo aggettivo intendendo però non artisti giovani di età anagrafica, ma artisti giovani di intendimenti di tematiche di poetica, capaci cioè di rompere convenzioni a volte fin troppo cristallizzate).

Ad accompagnare la kermesse, poi, appuntamenti sparsi in tutta la città a toccare luoghi e spazi a volte dimenticati.

Sono infatti più di cento gli eventi ospitati da cinquantacinque location diverse.

Tra i tanti, le opere murali di Dynamo, le installazioni visibili a partire dal tramonto del collegio Venturoli, il progetto luminoso ON dei portici di via Zamboni, l’arte africana ospitata all’Opificio Golinelli, le fotografie al Mast, la mostra floreale di Joans Burgert al Mambo, Oltreprima la fotografia dipinta alla Fondazione del Monte, il lavoro di Calori & mallardo all’ex negozio Gavina.

Tra tutte quelle visitate in anteprima, però, ci piace citare particolarmente la mostra “Kirakirà” di Murakami Takashi in galleria Cavour, rientrante oltretutto nel programma del 150° anniversario delle relazioni tra Giappone e Italia. Negli spazi del temporary store che l’anno passato ospitò la mostra di Warhol, sono esposte cinquanta opere di Murakami, un autore cresciuto ad anime & manga e poi affermato animatore di una factory (la Hiropon Factory ora trasmutata in Kaikai Kiki Co) che, nata sulla falsariga di quella warholiana, è un punto di riferimento imprescindibile per la scena underground e subculture giapponese integrando in sé pulsioni di un mondo intriso di tradizioni e culture pop e psichedeliche.

Più ancora, però, non possiamo non citare la bellissima “Lumen”, la mostra fotografica che Nino Migliori ha dedicato al “Compianto di Cristo” di Niccolò dell’Arca.

In uno del luoghi magici, magici e celati, magici e celati e sconosciuti che Bologna regala, il quattrocentesco (anche se ricostruito ad inizio 1600) Oratorio dei Battuti del complesso di Santa Maria della Vita in via Clavature 8, sono esposte una quarantina tra le varie centinaie di foto che il maestro ha scattato a lume di candela perseguendo una ricerca personalissima e stimolante riuscendo ad ottenere delle immagini realmente senza tempo.

E non c’è nulla di meglio, per descrivere le emozioni suscitate dalla visita che affidarci alle parole di Eugenio Riccomini: “… due o tre candele di notte, muovendosi tra una maddalena e l’altra … ha scoperto … il retro delle statue che è vuoto ch’è vuoto come in ogni terracotta e qui pare un’enorme e vuota caverna … talvolta la luce, nel gorgo del buio, s’impiglia nelle lettere latine incise nel nome di Niccolò  o sfiora il volto d’una delle Marie … a volta le candele possono essere più d’una e allora la luce pare rimbalzare su quei volumi, ora torniti, ora scabri, come pareti di roccia … Nino è l’erede di quei pittori che dipingevano su fondi di buio perché compito di chi ritrae il mondo è quello di illuminare ciò che gli occhi vedono. E così fa anche lui, con la candela in mano …”.

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