Il senso di irresponsabilità

Per Prodi, fu colpa di Bertinotti, di Mastella, di D'Alema, del sistema elettorale. Eccetera, eccetera....insomma fu colpa del mondo intero, fu colpa del “destino cinico e baro”. Per Berlusconi fu colpa della Merkel, delle banche centrali, di Napolitano, dei comunisti. E, alla fine, sempre del “destino cinico e baro”. Per Renzi è stata colpa di Bersani, di D'Alema (di nuovo, lui c'entra sempre), del Sud, della sinistra che dice sempre “no”. E si può continuare fino, appunto,  “al destino cinico e baro”. Tre leader, tre storie agli antipodi, tre caratteri molto diversi, tre cadute rovinose, ma un'unico filo rosso: nel momento della sconfitta loro non ci sono. E' sempre colpa di qualcun altro. Come per il mitico segretario del Psdi Giuseppe Saragat dopo la sconfitta elettorale del '53. “Colpa del destino cinico e baro” dichiarò e divenne una delle più celebri frasi fatte del politichese da Prima Repubblica, ma anche il riassunto di un pezzo della cosicenza nazionale: la poltrona non si molla.


Quell'epoca è finita, ma quello spirito di sopravvivenza, quell'idea di essere indispensabili, no. Mai una volta che si prendano le loro responsabilità. E' curioso, inquietante e nello stesso tempo illuminante il ripetersi di questo ritornello nostrano. Pensate se Cameron, dopo Brexit, si aggirasse ancora per le stanze che contano. O se la signora Clinton, nell'ultima uscita giustamente vestita a lutto e contrita, fosse ancora lì che trama. Da noi, invece, è la regola. Dopo più di dieci anni dalla doppia caduta dei governi Prodi (1998-2008) siamo ancora qua che nella sinistra ci si palleggiano le responsabilità. Anzi, peggio, si rinfacciano. Responsabilità che senz'altro ci sono da tutte le parti. Ma se uno è un leader, se uno è il capo, sua è la gloria e sua è la sconfitta. Non si scappa. Nel segreto della sua stanza Prodi, forse anche giustamente, può pensare tutto il male possibile dei suoi “sgambettatori”. Ma in pubblico no. Il capo che non ha capito, che non ha previsto, che non ha prevenuto quelle dolorose defezioni, che ha sbagliato tattica, strategia o alleati non può far finta di niente. Nessuno vuole fucilazioni, nè gogne politiche o mediatiche. Semplicemente un congruo periodo di riflessione. Dalle nostre parti si direbbe che, per un po' - qualche mese, qualche anno - il leader che ha perso "sta sotto aceto". Lo stesso discorso per Berlusconi nel 2011. Senz'altro ci sono stati fattori interni e internazionali che lo hanno spinto verso le dimissioni. Ma lui era il leader e lui ci aveva portato sull'orlo del baratro. Inevitabili le dimissioni. Meno giusto che dal giorno dopo abbia ricominciato come prima.


E Renzi? Renzi si è dimesso, si è assunto tutte le responsabilità. Evviva, ma non è così, basta ascoltare attentamente il discorsetto che ha fatto. Renzi ha mollato il governo (ed era impossibile fare diversamente, dopo che come in una partita di poker si era giocato tutto su una casella), per rifugiarsi al Nazzareno a preparare la vendetta. Di nuovo, proprio lui che doveva rppresentare il nuovo. Proprio lui, il rottamatore (degli altri). Come Prodi, come Berlusconi che sono ancora lì a rimuginare vendette, rese dei conti. Senza mai fare i conti con se stessi. Renzi ha portato una nazione lacerata al voto, ha diviso l'Italia, ha seminato tossine che resteranno in circolo per anni, ha spaccato il suo partito, lo ha condotto contro un muro. E che fa. Resta segretario per continuare come prima. Peggio di prima. Ha imposto Gentiloni, Boschi, Lotti...e via come se niente fosse. “Sotto aceto” non ci è stato nemmeno un giorno. Neppure una mezza frase di autocritica. Nemmeno una smorfia di delusione sul viso. Il bello è che nessuno glielo ha neppure chiesto. Errore grave, anche per se stesso. Un passo indietro adesso e magari fra un anno lo andavano a cercare.

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