Centomila bolognesi dimenticati. Centomila bolognesi che non hanno avuto rappresentanza politica nella sinistra. Centomila bolognesi che per il Pd non esistevano. Allargando l'orizzonte, sono un milione e duecentomila emiliano-romagnoli nelle stesse condizioni. Hanno votato “no”, in parte sono di area Pd o comunque elettori di sinistra, ma non hanno trovato rappresentanza nel Pd. E adesso, a urne chiuse, qualcuno del Pd si preoccuperà di riaprire un dialogo che questo pezzo (la metà, non frange residuali) di società? Qualcuno cercherà di “recuperare” quei voti?
E' solo una piccola nota a margine della valanga di commenti e analisi che ci becchiamo (e continueremo a beccarci) da tutte le parti e da tutti i pulpiti (anche da parte di quelli che, smentiti clamorosamente ieri, oggi riprendono a dare lezioni come se nulla fosse). E' una nota che si poteva fare anche prima del 4 dicembre, ma che ora assume un carattere clamoroso. Senza entrare nelle polemiche e senza ricominciare i “perchè sì” e “perchè no”.
“L'Emilia-Romagna e Bologna in controtendenza”. La semplificazione dei titoli dei giornali rischia di condurci in un clamoroso abbaglio nell'analisi del voto. E' vero. In Emilia e a Bologna ha vinto il “sì”. Ma il “50 virgola” per la riforma non può far tirare un sospiro di sollievo a nessuno. I “no” sono 1.200.000 in Emilia e 100.000 a Bologna: una valanga di voti che in campagna elettorale non hanno avuto e che rischiano di non avere neppure adesso rappresentanza a sinistra. Bologna diventa un caso clamoroso.
L'intera classe dirigente del Pd di Bologna non ha “rappresentato” il “no”, non ha dato voce a quel pezzo di città, alla fine quasi il 50%, appunto più di 100 mila bolognesi, che si sono espressi contro la riforma costituzionale. E' una annotazione marginale, ma, ripeto, clamorosa. Tutto il gruppo dirigente del partito compatto sul “sì”, tutti i parlamentari (se per caso qualcuno ha votato “no” si è guardato bene dal dirlo), tutti gli eletti, dal sindaco in giù, tranne, forse, il capogruppo in Consiglio Comunale e uno o due consiglieri che però si sono guardati bene dal far sentire la loro voce. Tutti gli eletti bolognesi in Regione. E si potrebbe continuare. Anche tutti i quadri più bassi nelle scale gerarchiche del partito in stragarande maggioranza allineati e coperti. Anzi, molto spesso dediti allo sport più in voga sui social: sfottere, provocare e fare una campagna elettorale tendenziosa contro i loro compagni di partito che votavano no. Poi, a completare l'opera di negazione della realtà anche i giornali, di fatto, si sono adeguati. Tutti dediti a evitare qualsiasi seppur lieve approfondimento sui dubbi della base e degli elettori di sinistra, a dimostrazione che da parte di nessuno c'era la voglia di capire, ma solo di propagandare.
Impressionante. Un intero partito, in una delle sue roccheforti, in una città dove ancora conta e dove ha una solida organizzazione non ha trovato modo di rappresentare il “sentiment” di quasi il 50% della popolazione. Neppure per caso. E, a scanso di equivoci, è bene ricordare che in quei 100 mila non ci sono solo grillini e leghisti (come qualcuno adesso sbrigativamente cerca di dire per lavarsi la coscienza). Anzi, a Bologna quei 100 mila voti negati sono in buona parte di sinistra.
Quando si dice un partito staccato dalla realtà, dalla società reale. Ecco, questo appare (e non da ora) il Pd di Bologna. Forse sbaglio l'analisi che ripeto, non c'entra nulla coln chi legittimamente ha votato "sì” o “no”. Però qualcuno dovrebbe spiegare. Altrimenti viene un sospetto: per l'ennesima volta Bologna (e in gran parte il discorso vale, come detto, anche per l'Emilia) ha dato una pessima prova di autonomia, di democrazia, di civiltà. Detto brutalmente: tutti dietro al capo di turno. E' brutto da dire, ma non può essere un caso che non ci sia stato un dirigente che sia uno che a Bologna abbia avuto la coscienza, il coraggio di schierarsi col “no”. Ripeto questo discorso non c'entra col fatto di essere da una parte o dall'altra: c'entra con lo stato di salute della politica e in particolare del Pd.
E l'ultima annotazione: evitiamo adesso di dire “abbiamo capito la lezione”, “dobbiamo riflettere”, “dobbiamo aprirci alla società”. I segnali c'erano tutti da prima: la bassissima affleunza al voto alle Regionali, la vittoria stiracchiata e fortunosa (per assenza di competitor credibili) di Merola. Eppure il partito si è autoassolto, non ha mai voluto guardare la realtà, non ha mai voluto guardare in faccia quei centomila bolognesi. Anzi quasi tutti i dirigenti (anche quelli non di prima fila) si sono sentiti in diritto di sputare sentenze e snobbare chiunque non fosse allineato e coperto. Tra l'altro con una aggravante. In teoria, secondo i risultati congressuali, Bologna era una delle federazioni più di sinistra, cioè più “cuperliane”, quandi in teoria che doveva più di tutte avere a cuore anche le ragioni del “no”. Invece è stata la più impermeabile al dubbio. E sarà la più impermeabile al futuro. Renzi si è dimesso, ma non ci sarà uno che è uno che lo seguirà e neppure nessuno che chiederà conto ai vertici. Più preoccupante della sconfitta del “sì”, è il nascondere la testa sotto la sabbia. Pardon, dentro la nebbia padana.
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