“Qui bisogna non far altro che essere umani. Normali”

«Galleggiava con le braccia aperte. Abbiamo visto che ha mosso la mano e con un filo di voce diceva: help me, help me. Onder esclama: è una ragazza. Ha accostato lentamente. Le ho dato la mano ma la ragazza non ce la faceva, era oramai esausta. L'ho tirata, l'ho avvicinata alla scaletta ma non ce la faceva da sola a salire e ho detto a Onder: lascia il timone, vieni ad aiutarmi perché questa non riesco a prenderla come gli altri. L'abbiamo issata a bordo. Vomitava nafta, tossiva. Ho visto che era tutta sporca. Mi sono tolto la mia canottiera, l'ho inzuppata di acqua dolce, e le ho lavato il viso. Poi lei era molto infreddolita, mi ha fatto capire che aveva freddo. Allora l'ho avvolta nella canottiera e ho cercato di riscaldarla un po' in modo che si riprendesse».


Costantino Baratta, muratore di Lampedusa, la mattina del 3 ottobre 2013  è uscito in barca con l’amico Onder. Ha avvistato in mare un gruppo di persone che si sbracciava, chiedeva aiuto. Erano naufraghi eritrei. Ne ha salvati dodici, gli ultimi ripescati vivi dal naufragio del peschereccio che ha visto la morte di 368 persone.


Grazie a chi, in questo lembo di terra, un puntino in mezzo al Mediterraneo, non fa altro che essere umano, da senso alla parola solidarietà e, come Costantino e Onder, non si tirano indietro.

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