Trovo molto poco appassionanti i (pseudo) dibattiti su quanto si sia involuto Masina o su quanto abbia approcciato male l’inizio di stagione Oikonomou. Si tratta di asserzioni facilmente verificabili, stanti le opache prestazioni dei due nomi presi in causa (Immobile ancora ringrazia).
Trovo molto più interessante imbastire un ragionamento allargando la sua portata al Bologna intero, specialmente in virtù di dinamiche che si sono frequentemente ripetute dall’inizio del campionato ad oggi: avvii di partita all’insegna del fraseggio e del bel gioco per poi perdersi gradualmente ed abbassare drasticamente il baricentro della squadra, finendo per consegnare l’intera iniziativa nelle mani dell’avversario di turno. Successe a Torino: i felsinei partirono forte e furono autori di un’ottima prima parte di gara, prima di soccombere sotto i colpi di Belotti; successe a Napoli, con Dzemaili ad un passo dal vantaggio dopo pochi secondi. Poi, immancabilmente, tutto l’undici rossoblu perse progressivamente metri di campo, ritrovandosi, di fatto, assediati dai partenopei; anche a Milano contro l’Inter il copione fu identico: vantaggio iniziale firmato da Destro a coronare un ottimo approccio alla gara del Bologna, vanificato dalla solita tendenza a non mantenere la stessa forma mentale, prima ancora che tecnica, per tutto l’arco dei 90 minuti; ultimo atto Domenica scorsa all’Olimpico: Lazio alle corde per metà primo tempo, poi il black out.
Il filo conduttore della stagione rossoblu, per ora, pare essere questo. Cambiano gli avversari, non il copione: gioco frizzante basato su palleggio e ripartenze nei primi scampoli di partita (andando a segno con regolarità), timore e poche idee in seguito, finendo per arroccarsi negli ultimi trenta metri, rinunciando a qualsivoglia sortita offensiva.
La differenza fondamentale tra i “due” Bologna è tutta nella volontà dei centrocampisti di imporre il proprio ritmo ed il proprio gioco e la partita di Roma è emblematica in tal senso: all’inizio la mediana rossoblu ha sovrastato in tutto e per tutto quella bianco celeste, con Nagy sontuoso nella fase di costruzione di gioco e Taider prezioso con i suoi inserimenti. In fase difensiva il lavoro di Donsah nel disturbare sia i centrali laziali che il play davanti alla difesa (Parolo) ha impedito uno sviluppo della manovra fluido da parte della squadra allenata da S. Inzaghi. Le ripartenze, poi, risultavano sempre ficcanti, con il solito Nagy a gestirle con maestria e Verdi e Di Francesco a condurle in ampiezza. Una volta che i 3 centrocampisti del Bologna si sono schiacciati troppo ed hanno rinunciato ai repentini strappi in ripartenza, invece, i rossoblu hanno cominciato a subire le iniziative laziali. Poi è arrivata la sofferenza, l’assedio ed il pareggio finale.
Insomma, per il salto di qualità tanto invocato da Donadoni servirà riflettere su questi errori. Il tecnico felsineo è chiamato ad instillare nei suoi centrocampisti la consapevolezza che, mantenendo le idee chiare per tutto il match, inevitabilmente la squadra intera finirebbe per essere meno in affanno con il passare dei minuti. E probabilmente tanti pareggi, più o meno giusti, finirebbero per tramutarsi in vittorie.
Trovo molto più interessante imbastire un ragionamento allargando la sua portata al Bologna intero, specialmente in virtù di dinamiche che si sono frequentemente ripetute dall’inizio del campionato ad oggi: avvii di partita all’insegna del fraseggio e del bel gioco per poi perdersi gradualmente ed abbassare drasticamente il baricentro della squadra, finendo per consegnare l’intera iniziativa nelle mani dell’avversario di turno. Successe a Torino: i felsinei partirono forte e furono autori di un’ottima prima parte di gara, prima di soccombere sotto i colpi di Belotti; successe a Napoli, con Dzemaili ad un passo dal vantaggio dopo pochi secondi. Poi, immancabilmente, tutto l’undici rossoblu perse progressivamente metri di campo, ritrovandosi, di fatto, assediati dai partenopei; anche a Milano contro l’Inter il copione fu identico: vantaggio iniziale firmato da Destro a coronare un ottimo approccio alla gara del Bologna, vanificato dalla solita tendenza a non mantenere la stessa forma mentale, prima ancora che tecnica, per tutto l’arco dei 90 minuti; ultimo atto Domenica scorsa all’Olimpico: Lazio alle corde per metà primo tempo, poi il black out.
Il filo conduttore della stagione rossoblu, per ora, pare essere questo. Cambiano gli avversari, non il copione: gioco frizzante basato su palleggio e ripartenze nei primi scampoli di partita (andando a segno con regolarità), timore e poche idee in seguito, finendo per arroccarsi negli ultimi trenta metri, rinunciando a qualsivoglia sortita offensiva.
La differenza fondamentale tra i “due” Bologna è tutta nella volontà dei centrocampisti di imporre il proprio ritmo ed il proprio gioco e la partita di Roma è emblematica in tal senso: all’inizio la mediana rossoblu ha sovrastato in tutto e per tutto quella bianco celeste, con Nagy sontuoso nella fase di costruzione di gioco e Taider prezioso con i suoi inserimenti. In fase difensiva il lavoro di Donsah nel disturbare sia i centrali laziali che il play davanti alla difesa (Parolo) ha impedito uno sviluppo della manovra fluido da parte della squadra allenata da S. Inzaghi. Le ripartenze, poi, risultavano sempre ficcanti, con il solito Nagy a gestirle con maestria e Verdi e Di Francesco a condurle in ampiezza. Una volta che i 3 centrocampisti del Bologna si sono schiacciati troppo ed hanno rinunciato ai repentini strappi in ripartenza, invece, i rossoblu hanno cominciato a subire le iniziative laziali. Poi è arrivata la sofferenza, l’assedio ed il pareggio finale.
Insomma, per il salto di qualità tanto invocato da Donadoni servirà riflettere su questi errori. Il tecnico felsineo è chiamato ad instillare nei suoi centrocampisti la consapevolezza che, mantenendo le idee chiare per tutto il match, inevitabilmente la squadra intera finirebbe per essere meno in affanno con il passare dei minuti. E probabilmente tanti pareggi, più o meno giusti, finirebbero per tramutarsi in vittorie.
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