“Ave Mary” di Michela Murgia

“Ave Mary” - “Dovevo fare i conti con Maria, anche se questo non è un libro sulla Madonna. È un libro su di me, su mia madre, sulle mie amiche e le loro figlie, sulla mia panettiera, la mia maestra e la mia postina. Su tutte le donne che conosco e riconosco. Dentro ci sono le storie di cui siamo figlie e di cui sono figli anche i nostri uomini: quelli che ci vorrebbero belle e silenti, ma soprattutto gli altri. Questo libro è anche per loro, e l'ho scritto con la consapevolezza che da questa storia falsa non esce nessuno se non ci decidiamo a uscirne insieme”.


Questo l’incipit del libro (che forse ho letto male, ma non credo). Che, però, al di là dell’assunto di fondo, svela un grande mistero, IL grande mistero del bell’“Accabadora” precedente: Maria, la protagonista, alla fine, diventerà o no a sua volta accabadora? Da questo libro, troppo, troppo permeato di cristianesimo lamentoso e fin fastidioso (gli studi, l’ambiente, le scelte dell’autrice vengono fuori prepotenti ed ineluttabili) risulta chiaro che no, Maria sceglierà, ha scelto, di non diventarlo, accabadora,  scegliendo quindi la NON liberazione dalle costrizioni clericali e borghesi, di casta e di pensiero che la incatenano, liberazione che, per lei, resterà pura utopia. Ed è un peccato. Perché, nel tentativo di presentare questa scelta come moderna e coraggiosa, è il senso stesso del pur premiatissimo, e ti pareva, libro (“Accabadora”, appunto) a risultarne incompiutamente perdente.

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